La seconda, ricca, stagione del Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli si è aperta con Peppe Miale e prosegue in questi giorni con "...chiedetelo a Pappagone!", di e con Stefano Sarcinelli. Una particolare forma di teatro cabaret-canzone, con Ugo Gangheri e Antonio De Carmine alle chitarre, Mauro Spenillo alla fisarmonica e Carletto Di Gennaro alle percussioni. I quattro, in special modo Gangheri, si dimostrano a proprio agio anche recitando nel ruolo di spalle di Sarcinelli. La Bibbia è il pretesto per porsi domande esistenziali e raccontare storie, pensieri e personaggi mai banali, senza cadere nei soliti argomenti classici dei monologhi cabarettistici. L'attualità viene scandagliata con intelligenza e puntellata da buona musica degli anni '70 (ma anche da brani originali), tra Pistorius, i Led Zeppelin e il presepe. Buona la trovata del format "Song Chef", momento in cui i cinque sul palco cucinano canzoni, prima da soli e poi con il coinvolgimento del pubblico. Irresistibile il personaggio del signor Farlocco, proprietario dell'industria dolciaria omonima nonché finto sponsor dello spettacolo. Sarcinelli attraverso lui racconta un po' del marcio raccapricciante del nostro belpaese, scatenando allo stesso tempo grandi risate. Non poteva mancare una deliziosa versione acustica di "Targato Na" eseguita da De Carmine e Spenillo, in arte "Principe e Socio M.", insieme a Di Gennaro. Di grande effetto anche il crescendo di una ballata che narra la storia di un disoccupato, appena licenziato, che decide di distrarsi cucinando la genovese per alcuni suoi amici.
La regia di Enrico Maria Lamanna tiene insieme i quadri in maniera abbastanza coerente, per uno spettacolo semplice e leggero ma intelligente, ben scritto, fatto di riflessioni, disillusioni, paure e delusioni. Le domande esistenziali, quelle restano senza risposte come è giusto che sia, fatto salvo lo spunto di vedere Dio come un padre dei tempi moderni: assillato e pregato continuamente quando serve, ma allo stesso tempo incolpato ingiustamente di tutto o quasi.
La regia di Enrico Maria Lamanna tiene insieme i quadri in maniera abbastanza coerente, per uno spettacolo semplice e leggero ma intelligente, ben scritto, fatto di riflessioni, disillusioni, paure e delusioni. Le domande esistenziali, quelle restano senza risposte come è giusto che sia, fatto salvo lo spunto di vedere Dio come un padre dei tempi moderni: assillato e pregato continuamente quando serve, ma allo stesso tempo incolpato ingiustamente di tutto o quasi.
Cristiano Esposito
Nessun commento:
Posta un commento