sabato 1 novembre 2014

Le voci di Eduardo secondo Toni Servillo al San Ferdinando di Napoli

"Le voci di dentro" è una commedia immortale, come tutte le grandi opere e come il pensiero di un grandissimo come Eduardo De Filippo, in questo caso incentrato sulla disgregazione della famiglia. Scritta nel 1948 ed inserita nella "Cantata dei giorni dispari", è ancora una commedia inquietantemente attuale, che ci parla di noi in quanto napoletani, italiani ed esseri umani. E quando una commedia immortale si incontra con la grande qualità di un attore e regista come Toni Servillo andare a teatro dovrebbe essere irrinunciabile. A dieci anni da "Sabato, domenica e lunedì", l'attore-feticcio cinematografico di Paolo Sorrentino torna a rileggere e a reinterpretare Eduardo con discrezione e sapienza. E lo fa appunto con una commedia dal sapore contemporaneo, popolare, sospesa tra realtà e illusione, che scava nella cattiva coscienza del genere umano. Un sogno confuso con la realtà spinge il protagonista Alberto Saporito a denunciare la famiglia Cimmaruta per un delitto mai commesso. Ciò, nonostante la ritrattazione di Alberto, causa l'implosione delle relazioni familiari, proprio quelle che generalmente si crederebbero le più stabili. E allora ci si accusa a vicenda senza fare autocritica, si mette tranquillamente un assassinio nel bilancio di famiglia, si assiste alla caduta dei valori fondamentali e all'agghiacciante indifferenza di cui tutti siamo al tempo stesso vittime e carnefici. I Cimmaruta sono quindi tutti un po' colpevoli dell'omicidio della "stima reciproca che ci mette a posto con la nostra coscienza, che ci appacia con noi stessi". La concordia familiare sembra ristabilirsi, in maniera ancor più raccapricciante, solo quando i Cimmaruta si accordano per uccidere Alberto durante una gita in campagna.

Lo spettacolo torna a Napoli a grande richiesta dopo le poche repliche dell'anno scorso sempre al San Ferdinando e dopo una trionfale tournée internazionale. Quasi tutti i personaggi appaiono forti e ben caratterizzati, la regia ordinata e fluida. Straordinarie le performances dei fratelli Servillo: Peppe risponde colpo su colpo alla maestria di Toni, conquistando qualche risata in più grazie alla natura del personaggio, interpretato alla perfezione e che gli permette di sfoggiare una grande mimica. Il suo Carlo Saporito si addormenta sul finale e russa come la cameriera Maria (la brava Chiara Baffi), nel cui sogno sta tutto il significato della commedia, fa nel quadro iniziale.

Altra missione compiuta per Toni Servillo, che rende in modo efficace ed equilibrato la cupezza, la comicità amarissima e il pessimismo eduardiano, perfettamente inseriti nel secondo dopoguerra così come nella nostra epoca. C'è poi il silenzio, tanto silenzio pieno di senso, l'ormai proverbiale silenzio eduardiano. Come quando Toni Servillo/Alberto Saporito si porta sul ciglio della ribalta e dichiara con gli occhi sgranati: "Je me l'aggio sunnato!". Come quando Zi' Nicola torna a parlare invocando un po' di pace e le luci di Cesare Accetta si fanno fredde. Come quando, alla fine della rappresentazione, i due fratelli Saporiti si siedono molto distanti, fissandosi a lungo. In un eloquente e inquietante silenzio. Poi, come detto, Carlo si addormenta e Alberto resta solo, con le sue voci di dentro, con le sue paure, i dubbi, i sogni e le amnesie che hanno dato forma ad una triste realtà.


Cristiano Esposito


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