Mix tra tradizione e innovazione,
citazioni e rimandi illustri, teatro e cinema, commedia dell’arte, filosofia,
canto; e poi un ottimo cast, accompagnato da scenografie e costumi di pregevole
fattura. Gianfranco Gallo ha voluto mettere dentro al suo nuovo spettacolo, “È
tutta una farsa – ovvero Petito’s play”, davvero tante cose insieme. Una enorme
maschera di Pulcinella bianca (cinque metri per tre e mezzo) si apre in due metà a inizio spettacolo, svelando
le scene srotolate da un carrozzone da commedia dell’arte e i personaggi che le
popoleranno. E parte, sul filo rosso di un’esile trama, quello che lo stesso
Gallo intende definire teatro di “Oltradizione”, che viene dall’Oltre ed è
diretto ad Oltre, mirando tra l’altro a trasmettere la ricchezza del passato
guardando in avanti. Il suo mezzo privilegiato è la comicità, il lazzo, l’improvvisazione
che si avverte diverse volte in scena e travolge nella risata anche gli stessi
attori. Questa volta la lente di ingrandimento di Gianfranco Gallo si posa sui
Petito e sulla farsa, sui battibecchi e sui travestimenti quali meccanismi
comici posti in primo piano.
L’unione è tra i due filoni del teatro comico napoletano di tradizione, attraverso l’intreccio di “Na campagnata ’e tre disperate” e “Inferno, Purgatorio e Paradiso” di Antonio Petito e i personaggi reali e senza maschera, con un copione scritto che comunque comanda le operazioni, di Eduardo Scarpetta. Gianfranco e suo fratello Massimiliano sanno già dall’inizio dove inventare e dove non tradire il copione (“l’invenzione è il diamante, il testo è la struttura in oro in cui viene incastonato”, scrive Gianfranco Gallo in un curatissimo e raffinato programma di sala), infarcito di omaggi e citazioni che in un’atmosfera in stile ‘800 conducono a braccetto generazioni diverse di illustri comici. Da Petito si arriva a Totò (quello dei travestimenti di “Miseria e nobiltà” e di “Totòtruffa ‘62”), a Massimo Troisi (citato da “La natività” de La smorfia ma anche da “Non ci resta che piangere” e “Pensavo fosse amore invece era un calesse”) e ai baffi dei fratelli De Rege e di Groucho Marx. C’è anche una partita a scopa che forse richiama “L’oro di Napoli” e Vittorio De Sica. Tutta gente, insomma, che faceva ridere di gusto anche improvvisando in coppia, perché conosceva bene e anche al di fuori del lavoro il suo partner, che fosse un suo parente o meno. Ma i fratelli Gallo ci mettono molto di loro: di grande effetto risulta ascoltare battute legate all’attualità (quando vengono citati i matrimoni gay in Spagna, ad esempio) da attori nei panni di antichi commedianti. L’omaggio si estende al repertorio musicale napoletano comico all’inizio del secondo atto, con Gianfranco e Massimiliano che cantano la “Dorge sirinata” di Armando Gil. E alla poesia di Totò “’A cchiu’ bella”, musicata da Giuni Russo e magistralmente interpretata in scena da Bianca Gallo.
L’unione è tra i due filoni del teatro comico napoletano di tradizione, attraverso l’intreccio di “Na campagnata ’e tre disperate” e “Inferno, Purgatorio e Paradiso” di Antonio Petito e i personaggi reali e senza maschera, con un copione scritto che comunque comanda le operazioni, di Eduardo Scarpetta. Gianfranco e suo fratello Massimiliano sanno già dall’inizio dove inventare e dove non tradire il copione (“l’invenzione è il diamante, il testo è la struttura in oro in cui viene incastonato”, scrive Gianfranco Gallo in un curatissimo e raffinato programma di sala), infarcito di omaggi e citazioni che in un’atmosfera in stile ‘800 conducono a braccetto generazioni diverse di illustri comici. Da Petito si arriva a Totò (quello dei travestimenti di “Miseria e nobiltà” e di “Totòtruffa ‘62”), a Massimo Troisi (citato da “La natività” de La smorfia ma anche da “Non ci resta che piangere” e “Pensavo fosse amore invece era un calesse”) e ai baffi dei fratelli De Rege e di Groucho Marx. C’è anche una partita a scopa che forse richiama “L’oro di Napoli” e Vittorio De Sica. Tutta gente, insomma, che faceva ridere di gusto anche improvvisando in coppia, perché conosceva bene e anche al di fuori del lavoro il suo partner, che fosse un suo parente o meno. Ma i fratelli Gallo ci mettono molto di loro: di grande effetto risulta ascoltare battute legate all’attualità (quando vengono citati i matrimoni gay in Spagna, ad esempio) da attori nei panni di antichi commedianti. L’omaggio si estende al repertorio musicale napoletano comico all’inizio del secondo atto, con Gianfranco e Massimiliano che cantano la “Dorge sirinata” di Armando Gil. E alla poesia di Totò “’A cchiu’ bella”, musicata da Giuni Russo e magistralmente interpretata in scena da Bianca Gallo.
In scena, tutti brillanti nel
loro ruolo, Gianluca Di Gennaro, Bianca Gallo, Arduino Speranza, Anna De Nitto,
Ursula Muscetta e Francesco Russo. Le scene sono di Clelio Alfinito, i costumi,
davvero notevoli e talvolta cambiati in scena dagli interpreti che si camuffano,
di Francesca Romano Scudiero, le luci di Cesare Accetta e le musiche di Paco
Ruggiero. Uno spettacolo esilarante, incalzante specialmente nel primo atto, che
riesce efficacemente a rispolverare e a salvaguardare il teatro comico napoletano
con la “c” maiuscola e a donargli nuova vita nel solco di una tradizione d’arte
di inestimabile valore.
Cristiano Esposito
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