Buon successo di pubblico e critica per "La bisbetica domata", adattamento e regia di Laura Angiulli, in scena al Galleria Toledo di Napoli. Tra le prime commedie di William Shakespeare, di grande modernità e sperimentazione, il testo è un intrigo di scambi di ruolo, travestimenti, finzioni dall'inizio alla fine. Il tutto con una consistente dose di sagace ironia, ben evidenziata in quest'edizione. La trama è ai più nota: Petruccio (Massimiliano Gallo) arriva da Verona a Padova per sposare una donna ricca e benestante, Caterina (Alessandra D'Elia), bisbetica e intrattabile, almeno in apparenza. La Angiulli capovolge le convinzioni comuni che vogliono il Bardo molto critico e denigratorio nei confronti delle donne e lascia trasparire dalla sua Caterina grande ironia, voglia di vivere, sensibilità, cultura, intelligenza e sofisticatezza. La bravura della D'Elia rende perfettamente tutto ciò in scena in una vasta gamma di umori ed espressioni; prova ampiamente superata anche da Massimiliano Gallo, al primo testo shakespeariano della sua carriera ("Ho amato subito questa commedia da quando mi sono immerso nel suo fiume di parole, milioni di parole, che sono la vera forza del teatro di Shakespeare"). Il ruolo di Petruccio sembra cucito apposta per lui: sa come fingere il suo amore per arrivare alla ricca dote di Caterina, sa come domare quest'ultima con sapiente strategia. Ma sarà davvero lui ad averla domata o lei ad agire con scaltrezza e per opportunità coniugale, pur se realmente attratta? Nel monologo che chiude lo spettacolo Caterina sembra arrendersi, ma lo fa nascondendosi a tratti dietro una maschera inespressiva. Siamo di fronte alla dualità dell’animo femminile e alle sue contraddizioni, che si risolvono in un’apparente accondiscendenza all’autorità maschile. Ma è forse solo l'ennesima prova dell’arguzia e dello spirito di adattamento proprio del gentil sesso. D'altronde anche la dolcezza e l’obbedienza di Bianca, sorella di Caterina, appaiono illusorie. L'acredine e l’aridità di Caterina nascondono in realtà una bellissima ma fragile creatura.
Veloci trasformazioni di personaggio in personaggio, travestimenti e scambi di ruolo volutamente evidenti. Il meccanismo di “teatro nel teatro” è condotto dichiaratamente, così come s’annuncia già nell'ouverture dell'opera, spesso omessa in diverse messe in scena del testo, in cui un signore al ritorno da una battuta di caccia si prende gioco dell'ubriaco Sly, facendogli credere di essere ricco e potente, per il solo piacere della burla. La tavolozza di dialetti utilizzata (napoletano, padovano, barese) e gli attori che guardano negli occhi gli spettatori richiamano le maschere del teatro italiano, la Commedia dell'Arte, il teatro di strada. E forse l'universalità dell'opera. A ognuno di noi capita di travestirsi e fingere per raggiungere un obiettivo.
Ottima la compagnia intera, che ha il suo lavorare anche nell'interpretare quattordici personaggi in sette: oltre ai già citati protagonisti ci sono Federica Aiello, Giovanni Battaglia, Roberto Giordano, Stefano Jotti e Antonio Marfella. L'essenziale scenografia di Rosario Squillace, costituita soltanto da poche pedane praticabili, fa il paio con le luci di Cesare Accetta per far spazio alla parola del Bardo.
Ottima la compagnia intera, che ha il suo lavorare anche nell'interpretare quattordici personaggi in sette: oltre ai già citati protagonisti ci sono Federica Aiello, Giovanni Battaglia, Roberto Giordano, Stefano Jotti e Antonio Marfella. L'essenziale scenografia di Rosario Squillace, costituita soltanto da poche pedane praticabili, fa il paio con le luci di Cesare Accetta per far spazio alla parola del Bardo.
Cristiano Esposito