I Mummenschanz (dove "mummen"
sta per mascherarsi e "schanz" per fortuna: la fortuna di mascherarsi) sono
un gruppo italosvizzero di artisti che anima forme nel buio utilizzando materiali
poveri, di uso comune, come gommapiuma, scotch, carta igienica, fil di ferro, cartone, tubi e tessuti. Tutto ciò e molto altro
prende vita in variopinte figure e sagome, antropomorfe e non. Per il loro
ritorno a Napoli dopo vent'anni mettono in scena un'antologia di una trentina
di sketch rapidi e fulminanti, un mix di creazioni storiche, altre meno note e
invenzioni recenti. I "musicisti del silenzio", come recita la
locandina dello spettacolo, hanno la loro sede a Zurigo dal lontano 1972,
quando Bernie Schürch, ritiratosi dalle scene nel giugno 2012 pur continuando oggi a lavorare
come direttore artistico, Andres
Bossard, scomparso nel 1992, e Floriana Frassetto decidono di dar vita ad un teatro
d'avanguardia senza utilizzare né il linguaggio verbale né la musica. Non sono
semplici mimi, i loro movimenti sono danza e suono immaginari che si
materializzano solo nella percezione del pubblico. Cominciano con il cappello
per le offerte in strada, poi la chiamata del Festival di Avignone. Furono i
Mummenschanz a tenere il primo spettacolo muto al Bijou Theatre di Broadway nel
1977. E andò non male: tre anni di pienoni, dopo i quali furono costretti a
lasciare sul posto una formazione alternativa per poter tornare finalmente in
Europa. Nel loro curriculum quarant'anni di tournée mondiali da Teheran a
Pechino, da Lima a Londra e prestigiose ospitate nei programmi televisivi
americani "Sesame street" e "The tonight show". Per tornare
alle collaborazioni di casa nostra citiamo quella con "Elio e le storie
tese" nel video "Storia di un bellimbusto", dove appare il tubo
flessibile Slinky Man, nell'immaginario comune ormai un vero e proprio
personaggio. Dal 1998 esiste la fondazione "Mummenschanz", che opera
per la diffusione dell'arte teatrale non verbale.
La formazione ammirata al Bellini
annovera, oltre a Floriana Frassetto, Philipp Egli, Pietro Montandon e Raffaella
Mattioli. Fondamentale il lavoro del lighting designer, Dino "Chico"
De Maio, in quanto è proprio il gioco di luci a creare gran parte dell'illusone
e della magia dello spettacolo. Il direttore tecnico è Jan Maria Lukas. Ad
aprire il sipario sono due mani giganti che interagiscono col pubblico, lo
scaldano inghiottendo qualche spettatore e suscitando immediatamente le prime
risate. Assistiamo poi ad una serie di
figure
fantastiche che si avvicendano funzionando quasi tutte (la formula dello
spettacolo tende verso la fine a creare a tratti assuefazione). E' uno
spettacolo per gli occhi, una gioia per i bambini ma non solo. Da vedere più
che da raccontare. Incredibile pensare che in certe sagome ci siano delle
persone in carne e ossa ad animarle. I quattro mimi nascosti nel nero della
scena raccontano storie mettendo in relazione di amore e guerra le forme che
creano in pochi secondi. Ed ecco due maschere di plastilina che si trasformano a vicenda manipolandosi
in scena, un tubo giallo che gioca a palla con la platea facendo tornare tutti
bambini per un po' e una storia d'amore tra una spina e una presa elettrica.
Il silenzio, sempre più difficile
da ottenere dal pubblico di questi tempi, si riempie di risate e stupore. Non
una parola, solo il rumore dei "costumi", reazioni degli spettatori a
parte. Novanta minuti di gioco e fantasia, di teatro visivo e di maschera, per
una messa in scena moderna e antica allo stesso tempo, senza l'ausilio di
tecnologie. Un'astrazione continua senza lingue né sovrastrutture, un
linguaggio universale e che funziona ovunque nel mondo. Il silenzio c'è ma non
si avverte. La Frassetto racconta che una volta a fine spettacolo un signore le
chiese che musiche avevano usato. Le aveva sentite anche se non c'erano. Questa
è l'arte dei Mummenschanz, ispirata dalla vita, dalla comunicazione dell'essere
umano, il cui pennello è intinto nella scultura, nella danza e nel mimo. Uno
show per tutti, dove la purezza del gesto conquista con semplicità e genio.
Cristiano Esposito
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