mercoledì 6 novembre 2013

"L'amore è un cane blu": il western balcanico di Paolo Rossi in scena al Bellini di Napoli

Il nuovo spettacolo di Paolo Rossi, intitolato "L'amore è un cane blu - La conquista dell'Est", ci porta sull'altopiano del Carso, tra grotte, fiumi sotterranei, rovi e pietre. Un luogo dove si respirano ancora le fiabe degli amanti perduti e delle passioni tradite. Ed è una storiella del genere a fungere da canovaccio esile per i guizzi del comico friulano, che saranno maggiormente apprezzabili nel secondo atto nonostante la sua creatività appaia notevole per tutto l'arco della messa in scena.

Si comincia a sipario aperto, con l'orchestra di liscio balcanico "I virtuosi del Carso" diretta dal maestro Emanuele Dell’Aquila (ottimo anche in veste di attore e spalla di Rossi) che trascorre la sua mezz'ora di concentrazione sul palco e non nei camerini,vagando e facendo ciò che le pare senza curarsi troppo del pubblico che inizia a occupare la sala. "Siamo in prova" recita un cartello in alto, e lo spettacolo in effetti si presenta come un work in progress dove l'unico punto fermo è la storiella di cui sopra, o almeno così deve sembrare. “Un concerto visionario popolare lirico e umoristico”, lo ha definito Paolo Rossi, che parte dai ricordi della sua infanzia per raccontare l'Italia di oggi, priva di passione ed entusiasmo ma con tanto caos. E abbastanza caotico è anche lo spettacolo, un vero e proprio delirio organizzato. Il titolo nasce da un sogno dell'attore, che solo successivamente ha scoperto che un cane blu era anche al centro di una storia mitica narrata proprio nell'altopiano carsico. Un cane che si innamora della bora e gli resiste, gli si oppone fino a diventare appunto blu. La satira politica e sociale si alterna ai suggestivi brani eseguiti da "I virtuosi del Carso" (Emanuele Dell'Aquila, Alex Orciari, Stefan Bembi, Denis Beganovic, Mariaberta Blašković e David Morgan). La voce di Paolo Rossi li puntella con passione, con la stella del suo maestro Enzo Jannacci sempre ben accesa in sala. Nelle parole, nella mente e nel cuore.
 
Paolo Rossi porta in teatro la sua terra, luogo di miti e di lucida follia che può ispirare la comicità, insaporita di western ("da bambino sul Carso giocavo agli indiani e ho sempre sognato di interpretare un western. Ecco, questo è un western balcanico") e psichedelia ("oggi le vie dell'inconscio sono strafatte"). L'amore è difficile da trovare e immaginare proprio come un cane blu; per arrivarci bisogna cercare di non perdersi, e per non perdersi il modo migliore è non sapere mai dove si sta andando. Il futuro è tutto da inventare, è chissà che non intervengano davvero le Brigate Clown Criminali a far riemergere la passione e la cultura, a combattere la guerra per riacquistare il senso delle parole. A farci tornare più popolo e meno pubblico. Con "pistola y corazon", ultima canzone dello spettacolo, tributo al rivoluzionario messicano Emiliano Zapata. In fondo anche dopo i Borgia ci fu il Rinascimento. Uno spettacolo originale e visionario, con diversi momenti esilaranti, su tutti la spiegazione a Berlinguer di cosa è successo al partito negli ultimi ventinove anni, che potrebbe diventare un film (nell'intervallo, sempre a sipario aperto, si è tenuto un casting semiserio). Tutto a questo punto, anche l'erba psicotropa generata dagli escrementi delle vacche che ritorna a più riprese nel corso della rappresentazione, potrebbe essere utile a generare il cambiamento che aspettiamo ormai da tanto, troppo tempo. E lui, Paolo Rossi, non lascia niente di intentato:  “In Italia ormai siamo ai confini della realtà, siamo come confinati dietro a un muro. Noi cerchiamo di aprire un piccolo foro in questo muro”.

Cristiano Esposito

                           
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