Ogni spettacolo di Carlo
Buccirosso ti incolla alla poltrona, ti prende dall’inizio alla in un turbinio di
risate, emozioni e colpi di scena, ti rapisce grazie alla costruzione sapiente
dell’intreccio e alla caratterizzazione accurata di ogni singolo personaggio.
Raramente capita di uscire dalla sala con tanto divertimento, tanta
ammirazione, tanti pensieri e riflessioni di un certo spessore che frullano in
testa. Al grande favore del pubblico non corrisponde però una risonanza di
uguale portata che pure le sue commedie meriterebbero, come e più di come
accade per altri. Ma forse tutto ciò è voluto proprio da lui, Carlo Buccirosso,
professionale, meticoloso e rigoroso proprio come il suo teatro. Non appare
molto in tv, non partecipa al grande circo dello spettacolo, tutto lustrini ed
eventi mondani. Semplicemente fa il suo teatro, in cui mette tutto sé stesso dimostrando
il grande rispetto che ha del pubblico, il quale non è stupido e capisce e
apprezza questo grande professionista. Oltre alle sue strepitose
interpretazioni, che spaziano con grande disinvoltura dalle sfumature divertenti
del personaggio che si è cucito addosso da sempre, e che forse è lui stesso,
con tempi e modi comici irresistibili, ai toni drammatici e di grande impatto
emotivo, c’è la sua drammaturgia e la sua regia. Tutto molto ben congegnato, elaborato,
senza lasciare nulla al caso.
“Finché morte non vi separi” è
ambientato in un piccolo paese di provincia (da una battuta di Saverio,
promesso sposo di Carolina, pare essere Pollena Trocchia), dove Don Guglielmo (Carlo
Buccirosso) sta per celebrare il matrimonio dell’anno tra due giovani di
famiglie ben in vista. Qualcosa non andrà per il verso giusto, forse a causa di
un'improvvisa discordia tra i promessi sposi, forse solo per via di un semplice inciucio di
paese, o magari per la classica intrusione del terzo incomodo. Spetterà al
povero parroco, intralciato/aiutato dalle indagini via internet di sua sorella
Rosa (Tilde De Spirito), dallo stravagante sagrestano (Davide Marotta) e dal
suo chierichetto (Giordano Bassetti), tenere a bada le due famiglie e riportare
sulla retta via Carolina (Claudiafederica Pretella) e Saverio (Sergio D’Auria).
La sagrestia, luogo in cui si avvicendano i componenti delle due famiglie,
diventerà il luogo metaforico in cui si riflettono le
distorsioni di una società sempre più in preda a un decadimento di valori,
dove la prima preoccupazione è la salvaguardia dell’idea che ognuno di noi
cerca di dare di sè stesso agli altri. Questo nonostante ognuno abbia i suoi
scheletri nell’armadio e reciti nella vita di tutti i giorni con ipocrisia nei
falsi rapporti interpersonali che intercorre. Si genera così quasi
automaticamente l’inciucio, quello che Don Guglielmo descrive come l’ottavo
peccato capitale, perché “Gesù Cristo stesso è stato vittima del più grande
inciucio della storia”. E non si salva nemmeno chi non prende posizione e non
si schiera, perché complice nell’alimentare il meccanismo perverso che
trasforma i pregiudizi e le calunnie in verità incontrovertibili. E’ questo che
Don Guglielmo dice ai personaggi in scena ma anche al pubblico, al quale sul
finale chiede di alzarsi per partecipare attivamente alla funzione che
commemora il padre dello sposo (Gianni Parisi, mentre a impersonare sua moglie
è Graziella Marina; il padre della sposa è Gino Monteleone), che non regge ai
tanti dispiaceri e prima di morire biascica un “Te piace ‘o munaciello?” alla
maniera di Luca Cupiello al terzo atto della celebre commedia eduardiana. Tutti
in piedi quindi, o quasi, uniti in una preghiera collettiva contro i pregiudizi
e l’inciucio mentre la platea si trasforma in una navata di una chiesa. Argomenti
serissimi ma conditi dalla tipica comicità di Buccirosso che rende il tutto
digeribile facilmente ad ogni tipo di spettatore. Di grande effetto le scene di Gilda Cerullo,
quattro ambienti completamente diversi che nel secondo atto cambiano a sipario
aperto in pochi secondi. Le musiche originali, gradevolissime, sono di Bruno
Lanza e Leo Barbareschi, i costumi di Zaira De Vincentiis, le luci di Francesco
Adinolfi.
Uno spettacolo attualissimo, con
i soliti guizzi geniali di Carlo Buccirosso (“’O munaciello è peggio di
Equitalia, s’arrobba tutt’ cos’!”), sulla crisi della fede e dei valori, sull’omosessualità,
sulla privacy impossibile specie nei paesini ai tempi di Facebook, sulla situazione
non florida nemmeno nella chiesa, che assomiglia sempre più ad un teatro
farsesco. Risate e contenuti validi, come raramente se ne trovano in testi
nuovi, originali; per tutto questo ci risulta difficile credere che il bravo
Buccirosso faccia sul serio quando, in alcune battute della rappresentazione,
mostra di non gradire particolarmente il cinema di Nanni Moretti. Oltre due ore
di commedia senza pause, fin quando Don Guglielmo annuncia a tutti i presenti
che “la messa in scena è finita, andate in pace” e sul chiudersi del sipario
abbraccia affettuosamente il personaggio che si è rivelato gay, che non
nominiamo per non rovinare una delle tante sorprese. Lunghi, generosi applausi
per Carlo Buccirosso alla sua prima al Cilea di Napoli; lui ringrazia
rigorosamente, a modo suo, fa prendere tanti applausi anche alla sua bella
compagnia, non parla ma lascia parlare la soddisfazione del suo pubblico, il
teatro, la vita.
Cristiano Esposito
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