La saga degli Esposito ha appassionato decine di migliaia di lettori negli ultimi due anni grazie alla capacità di Pino Imperatore di smontare con leggerezza l'alone di solennità che si era creato attorno al problema della camorra. Troppi film, fiction e storie ammantate da un'aura volutamente fascinosa avevano veicolato in maniera sbagliata, anche speculandoci su, un fenomeno che se veramente si vuole combattere va trattato in maniera diversa. Magari come fa Imperatore, che prova a offuscare l'immagine negativa di Napoli ridicolizzando la malavita e riflettendo sulla sua pochezza, scontatezza, sul suo squallore. "Benvenuti in casa Esposito", trasposizione teatrale di entrambi i libri finora editi, ha impegnato nella scrittura del copione l'autore della storia su carta e Paolo Caiazzo, con la collaborazione di Alessandro Siani. Tutto ruota attorno a Tonino Esposito (Paolo Caiazzo), un uomo fondamentalmente buono del rione Sanità di Napoli che viene trascinato nella camorra dal contesto in cui cresce, figlio del boss Gennaro morto ammazzato da Don Pietro (Gennaro Silvestro) che ora dà lavoro al protagonista inviandolo a fare il giro degli esercizi commerciali per esigere il pizzo. Ma Tonino non è tagliato per fare il mestiere del camorrista e nelle sue disavventure coinvolge inevitabilmente la sua famiglia, composta (a teatro, dove non vediamo il piccolo Genny e il coniglio Giggetto) da sua moglie Patrizia (Loredana Simioli), sua figlia (Federica Altamura), sua madre (Maria Rosaria Virgili), i suoceri (Nunzia Schiano e Salvatore Misticone) e l'iguana Sansone (la cui voce è prestata da Giacomo Rizzo). Prova a guidare il maldestro criminale l'apparizione di un Capitano spagnolo (Mimmo Esposito), sepolto da quattrocento anni nel cimitero delle Fontanelle, voce della coscienza che con la sua domanda farà calare il sipario alla fine: «È meglio essere senza soldi e andare a testa alta in famiglia oppure avere soldi e potere e camminare a testa bassa, fuggendo continuamente da tutti e da tutto?». "Vi conviene?", chiede infine a Tonino e soprattutto ai giovani in sala.
L'originale idea di Pino Imperatore conserva la sua freschezza anche in teatro, dove guadagna qualcosa nel piacere di mostrare in carne e ossa i folcloristici Esposito ma perde in consistenza e compattezza, spezzettata com'è nelle singole scene accompagnate da un titolo in videoproiezione che talvolta richiama i capitoli dei libri. Gli inserti video, tanto in voga nelle moderne commedie teatrali, remano nella stessa direzione puntando sui volti noti della trasmissione televisiva "Made in sud". Emerge su tutto la maestria comica di Paolo Caiazzo, le cui battute e intonazioni innescano diversi applausi specie nei duetti con Mimmo Esposito e la cui penna arricchisce con intelligenza la vicenda dei romanzi. Il suo Tonino dondola come un bambino, appare spesso mortificato, si rende tenero parlando con la "zeppola", sigmatismo che lo fa adottare ancor di più dal pubblico. Abbandona il difetto di pronuncia soltanto quando, vestito da padrino, si impettisce e per pochi attimi pensa davvero di poter diventare il "boss delle riforme che istituirà il pizzo sulla prima casa", sostituendo Don Pietro. La domanda del Capitano ci lascia con un finale aperto, anche se a quel punto è facilmente intuibile cosa non potrà mai essere Tonino.
Le scene di Roberto crea sono ben congegnate, ruotano a vista e cambiano rapidamente ambientazione in maniera gradevole agli occhi, esaltando dietro un fondale trasparente le scene cruciali e più suggestive (vedi quelle ambientate al cimitero delle Fontanelle). I costumi sono di Mattia Sartoria, le musiche di Frank Carpentieri. La sensazione finale è che si poteva fare di più, rendendo meglio giustizia all'opera letteraria, molto meno scontata nella struttura, nelle battute e in ciò che lascia dentro al lettore/spettatore. Gli applausi e le risate del pubblico partenopeo, ad ogni modo, consacrano ancora gli Esposito pronti a sbarcare anche al cinema l'anno prossimo.
L'originale idea di Pino Imperatore conserva la sua freschezza anche in teatro, dove guadagna qualcosa nel piacere di mostrare in carne e ossa i folcloristici Esposito ma perde in consistenza e compattezza, spezzettata com'è nelle singole scene accompagnate da un titolo in videoproiezione che talvolta richiama i capitoli dei libri. Gli inserti video, tanto in voga nelle moderne commedie teatrali, remano nella stessa direzione puntando sui volti noti della trasmissione televisiva "Made in sud". Emerge su tutto la maestria comica di Paolo Caiazzo, le cui battute e intonazioni innescano diversi applausi specie nei duetti con Mimmo Esposito e la cui penna arricchisce con intelligenza la vicenda dei romanzi. Il suo Tonino dondola come un bambino, appare spesso mortificato, si rende tenero parlando con la "zeppola", sigmatismo che lo fa adottare ancor di più dal pubblico. Abbandona il difetto di pronuncia soltanto quando, vestito da padrino, si impettisce e per pochi attimi pensa davvero di poter diventare il "boss delle riforme che istituirà il pizzo sulla prima casa", sostituendo Don Pietro. La domanda del Capitano ci lascia con un finale aperto, anche se a quel punto è facilmente intuibile cosa non potrà mai essere Tonino.
Le scene di Roberto crea sono ben congegnate, ruotano a vista e cambiano rapidamente ambientazione in maniera gradevole agli occhi, esaltando dietro un fondale trasparente le scene cruciali e più suggestive (vedi quelle ambientate al cimitero delle Fontanelle). I costumi sono di Mattia Sartoria, le musiche di Frank Carpentieri. La sensazione finale è che si poteva fare di più, rendendo meglio giustizia all'opera letteraria, molto meno scontata nella struttura, nelle battute e in ciò che lascia dentro al lettore/spettatore. Gli applausi e le risate del pubblico partenopeo, ad ogni modo, consacrano ancora gli Esposito pronti a sbarcare anche al cinema l'anno prossimo.
Cristiano Esposito
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