Ritorna in
scena al Bellini di Napoli l’"Arancia meccanica" diretta da Gabriele
Russo, spettacolo tratto dal testo teatrale che Burgess scrisse a
partire dal suo romanzo nel 1990 per la Royal Shakespeare Company.
Umanamente inevitabile correre col pensiero prima, durante e dopo lo
spettacolo, al film di Kubrick di cui Russo richiama soprattutto la
violenza estetizzante, grazie anche al contributo delle musiche
deformanti di Morgan, delle scene espressioniste di Roberto Crea e delle
luci stroboscopiche e al neon di Salvatore Palladino. Il fascino della
trama di questo capolavoro della letteratura distopica ha passato
indenne il mezzo secolo abbondante di vita, cosicché il pubblico rivive
sempre con interesse la storia dell'ultraviolenza perpetrata da Alex
(Daniele Russo) e dai suoi drughi (Sebastiano Gavasso e Alessio Piazza)
che, drogati di lattepiù, si muovono barcollando, seguita dalla cattura e
dalla riabilitazione del primo con esiti sconcertanti. Burgess fu
straordinario profeta capace di guardare ben oltre il suo tempo,
anticipando ampiamente il controllo delle coscienze e la massificazione
del pensiero. Oggi Gabriele Russo interroga il suo pubblico sulla
libertà di scelta: “è meglio essere malvagi per propria scelta o essere
retti ed onesti grazie ad un lavaggio scientifico del cervello?”. Alla
fine dello spettacolo sembra forse aver sofferto più Alex che le sue
vittime, in nome di una scienza al comando che renda disgustosa la
violenza e salvi così il mondo. Ma dopo la cura Ludovico il protagonista
non sa più difendersi né reagire ai soprusi, non ha più libertà di
scelta né di amare, arriva a provare addirittura fastidio nell’ascolto
del suo amato Beethoven. Viene issato in alto come un uomo sulla croce
ai cui piedi il ministro degli interni (Paola Sambo), dietro un paio di
occhiali scuri, lo dichiara orgogliosamente guarito. Eppure Alex
continua a ripetere le stesse frasi di quando commetteva del male e
finisce per ricadere poi in pezzi alla chiusura del sipario. E’
diventato l’arancia meccanica di cui nessuno si occupa, ma già
all'inizio della rappresentazione sembra più vuoto e meno leader del
protagonista del film di Kubrick. Acquista così ancora maggior valore la
battuta che recita così: “un uomo che sceglie il male è meglio di uno a
cui viene imposto il bene”.
Cristiano Esposito