Dopo l'edizione di "...E
fuori nevica!" del 2012 e la prossima ventura di "L'amico del
cuore", entrambe da regista, Vincenzo Salemme torna a pescare nel mare
della sua produzione drammaturgica della prima metà degli anni '90. Questa
volta lo vediamo anche in scena come protagonista di "Sogni e bisogni -
Incubi e risvegli", fino al 15 marzo al teatro Diana di Napoli.
Quindicimila i biglietti venduti in prevendita per questo testo del 1995, inizialmente
intitolato "Io e lui" in riferimento al romanzo di Moravia del 1973.
Ma se per lo scrittore romano il "lui" indicava una voce, Salemme lo
utilizza per incarnare egli stesso sul palco un organo genitale maschile che
decide deliberatamente di staccarsi materialmente dal corpo del legittimo
proprietario. Un atto di ribellione contro la vita spenta e ingabbiata di Rocco
Pellecchia (Andrea Di Maria), che di conseguenza è anche la sua. Rocco proverà
a raccogliere l'invito del suo "tronchetto della felicità" a scuotersi
dalla sua passività, a sognare in grande e a liberarsi dal senso di colpa che
lo inchioda immobile a terra, nella speranza che "lui" torni al
proprio posto. Interverranno in casa di Rocco anche due agenti di polizia, la
coppia di portieri dello stabile, sua moglie, sua suocera e l'inquilina del
piano di sopra.
La potenzialità comica della
trama è forte, e Salemme è bravo a mantenere il suo sviluppo nel limite del
buon gusto (ingresso dalla platea dei due testicoli giganti a parte) e a
limitare le battute facili e scontate sul tema. I giochi di parole elementari ci
sono, ma funzionano grazie alla maestria di intonazioni, ritmo e tempi comici
che Salemme dispiega e tramanda alla sua compagnia. Come da qualche anno a
questa parte la sua narrazione si interrompe affinché lui, autentico beniamino,
interagisca col suo pubblico, per poi terminare con una frettolosa chiosa
poetica, riflessiva, moraleggiante. Dobbiamo essere sempre noi stessi, dice
Salemme, sconfiggendo il senso di responsabilità e tenendo sempre bene a mente
che noi ci siamo per caso. I sogni non devono realizzarsi per forza, altrimenti
si chiamerebbero programmi.
In scena un Andrea Di Maria
notevole, e lo si capisce già dai primi minuti gestiti da solo in scioltezza
con un monologo al telefono egregiamente interpretato, e un Sergio D'Auria
sempre più bravo dopo essersi fatto le ossa nella compagnia di Carlo Buccirosso.
Una garanzia anche Domenico Aria e Nicola Acunzo (in questa occasione il suo
ruolo lascia poco spazio alle sue grandi capacità comiche), Vincenzo Borrino,
Susy Del Giudice e Antonio Guerriero. Ammirevoli le scene girevoli di
Alessandro Chiti. Applausi convinti per una farsa surreale che prova a rompere
gli schemi classici della commedia classica borghese senza troppe pretese.
Cristiano Esposito
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