Sessanta minuti di teatro urbano
multidisciplinare, di forte impatto visivo, emotivo e spettacolare, tra musica,
circo, proiezioni video, cinema, opera lirica, acrobazie, mito e danza. La
compagnia catalana “La Fura dels Baus”, fondata a Barcellona nell’ormai lontano
1979, incanta la Mostra d’Oltremare di Napoli e realizza tutto questo con
“Afrodita y el juicio de Paris”, a partire dal tema mitologico del “pomo della
discordia”: Eris, dea della discordia, non viene invitata al matrimonio tra
Teti e Peleo e per vendetta vi si presenta ugualmente scagliando sul tavolo del
banchetto una mela d’oro con incisa la frase “Alla più bella”. Sarà Paride a
dover dirimere a questo punto la lite tra Era, Afrodite e Atena. Atena gli
promette la vittoria in guerra, Era la sovranità sull’Asia, Afrodite l’amore di
Elena, la donna più bella della terra. Quest’ultima ricompensa farà scaturire
la decisione di Paride di donare la mela ad Afrodite.
Non è la prima volta che “La Fura
dels Baus” adopera il mito per parlare delle passioni umane (vedi «Cantos de sirena») e questa volta
mette al centro l’invidia che regna, oggi come ieri, nelle relazioni tra gli
uomini. Uomini che non possono comprendere fino in fondo cose più grandi di
loro, come ad esempio ciò che li ha generati. Ma l’ultimo quadro dello spettacolo,
con numerosi acrobati sospesi in aria che si compattano in una grande rete
umana, fa passare il messaggio che l’unione cooperativa porta ad un
miglioramento della società. Alla fine Paride compie la scelta più umana,
scegliendo l’amore e la bellezza, anche se ciò condurrà prima alla guerra fra le tre dee e poi a quella fra
greci e troiani.
La compagnia, guidata da sei
registi, utilizza da oltre vent’anni simboli per evocare un sentimento o un’emozione
da una prospettiva visiva di grande scala. C’è un grande lavoro di squadra
dietro uno spettacolo de “La Fura dels Baus”. Oltre ai ballerini e agli
acrobati, maggiormente visibili, vi lavorano guidatori di gru e burattinai, che
ad esempio danno vita ad una gigantesca Afrodite. Centoventi le persone
coinvolte nella rappresentazione, novanta delle quali sono giovani campani coordinati
dalla compagnia di danza Körper. L’allestimento, invece, prende la forma del
suo contenitore: tutto lo spazio centrale della Mostra d’Oltremare, con annessi
i suoi edifici. Lo stile riconoscibile è quello della contaminazione dei
linguaggi. Il pubblico è parte integrante dello spettacolo, con enormi elementi
scenografici (giganti, cavalli e così via) che passano in mezzo alla folla o
volano sulle teste degli spettatori. Ed ecco che l’esperienza spettatoriale
diventa anche fisica. Gli elementi d’avanguardia, oggi ripresi da diversi
spettacoli, sono l’annullamento della frontalità, la centralità di un disegno
luci spettacolare, l’uso di spazi non convenzionali, il rapporto pubblico/scena
e gli interventi fisici come l’acqua che
scorre dall’alto (notevole in questo
senso la sequenza che rappresenta la nascita). Qualche inconveniente tecnico,
tipo un microfono di una tromba che fa i capricci, e una discutibile scelta
delle voci che fanno da sfondo alle videoproiezioni, non ostacolano più di
tanto la riuscita dell’allestimento, comunque unico nel suo genere e di grande
effetto.
Già nel 1992 la compagnia si
esibì in mondovisione alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Barcellona.
Per poi prestare le proprie rappresentazioni alla musica classica e all’opera:
ricordiamo Madame Butterfly, Tristano e Isotta, Orfeo ed Euridice ed Aida. Una
longevità non casuale, quella della Fura, figlia di una squadra che ogni volta
si rinnova con l’intenzione di stupire sempre come la prima volta. Napoli risponde
al ritorno in città dopo sedici anni con una Mostra d’Oltremare gremita da
spettatori con lo sguardo incantato rivolto verso le stelle.
Cristiano Esposito
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