
Tre personaggi strani che condividono tra loro unicamente uno stesso luogo fisico, che non riescono a comunicare, immersi soltanto nelle proprie preoccupazioni e nei propri interessi volti a rimettere insieme i pezzi di un’esistenza lacerata. Emblematici sono a questo proposito i quadri in cui le tre attrici sono tutte in scena contemporaneamente in luoghi diversi della pur piccola roulotte, separate, divise, sole. Alla fine Harima risulterà la meno strana delle tre e riuscirà ad aiutare in qualche modo le due coinquiline, ad accorciare le distanze, a scavalcare qualche muro. Ada utilizzerà i suoni della sua lingua per comporre canzoni, mentre una Marisa immobilizzata dagli infortuni domestici riuscirà a mangiare soltanto attraverso il suo aiuto.
Joaquin Segade tira fuori qualsiasi suono o effetto possibile dalla sua chitarra elettrica per accompagnare le bizzarie della trama e dei personaggi. Il maggior pregio della messa in scena, a parte una certa originalità dell’idea di partenza, è la leggerezza con cui tocca argomenti drammatici. C’è tanta comicità tragica, come quando Marisa, che sostiene di aver visto in passato “i morti”, prima crede che Harima sia una creazione della sua mente e poi è convinta di trovarsi davanti ad una defunta. Inevitabile a quel punto chiederle se può vedere i suoi genitori e come questi sono morti realmente. Tolcachir supera con sufficienza piena questa nuova sfida, in uno spettacolo non facile ma di cui riesce a tenere il ritmo quasi sempre alto nonostante una lingua inventata e i tanti silenzi, tra spazi ridotti e un assurdo che strizza l’occhio a Beckett.
Cristiano Esposito
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