Pippo Delbono torna al teatro
Bellini di Napoli con “Orchidee”, la sua ultima, intensa creazione che parte
dal dolore per la perdita della madre per arrivare ad affrontare il tema
dell’amore universale. Ogni quadro è un’istantanea scattata a questo mondo e a
questo tempo senza amore né bellezza (“In questo mondo non riconosco più la
bellezza, perché nascosta ai miei occhi”), dove è difficile discernere il vero
dal finto come accade con le orchidee. Uno spettacolo fuori dalle righe, non
lineare, simile ad un’opera cubista, che esprime la confusione e lo
straniamento di chi non crede più alla politica e alle rivoluzioni. Delbono si
ribella all’assenza di cultura, ad un teatro che ormai vede finto, morto; fa
dire ad una sua attrice: “Il nostro regista non ama più il teatro, cerca la
verità”. Sogna una platea che si lascia andare ad un ballo e riesce sia a
dimostrare l’immobilità del pubblico sia a fargli accennare poi una danza sulle
note di Enzo Avitabile, presente in sala per questa prima napoletana. E
nonostante tutto non può fare a meno di scrivere d’amore, di raccontare nuove
storie per provare a riempire quel vuoto.
“Orchidee” è un insieme disordinato
di numeri con al centro rielaborazioni da grandi classici di autori come
Shakespeare e Cechov, che qui assumono nuovi significati. Delbono parla alle spalle dello spiazzato
pubblico dalla sua postazione in fondo alla platea, e lo fa fin dall’annuncio
di inizio spettacolo. Quando salirà sul palco non parlerà mai, si limiterà a
danzare, a dimenarsi, per tornare poi a sussurrare e a respirare nel microfono
soltanto dal fondo della sala. Tratta dell’omosessualità e dell’emarginazione,
del rapporto col corpo e con i corpi altrui. Anche la disabilità è molto
presente, con un attore down e con Bobò, sordomuto analfabeta fatto uscire dal
manicomio di Aversa dopo un internamento durato 45 anni. Protagonista già di
una decina di spettacoli, di sette film e di un’installazione in quel di
Parigi, a 78 anni è a tutti gli effetti un attore di grande espressività e
poesia. Tra i nudi integrali e
la proiezione degli ultimi istanti di vita della
madre, Delbono intende sconvolgere non per far scalpore ma per avvicinarsi al
pubblico e alla realtà, spesso fatta di dolore. Magari non ci riesce proprio con
tutti gli spettatori ma il suo resta un teatro da vivere più che da capire fino
in fondo o raccontare, per abbandonarsi ad un’esperienza inclassificabile. “Questo mondo fa schifo ma è l’unico posto
dove stare”, e Delbono vuole rimanerci senza farsi contaminare, ribellandosi,
provocando con la verità. Facendo come le orchidee, che si aprono al mondo in
bellezza e si chiudono a quello stesso mondo in segreto.
Cristiano Esposito
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