sabato 11 aprile 2015

La gatta Puccini di Cirillo graffia e diverte al Diana di Napoli

Vittoria Puccini La gatta sul tetto che scotta
Un dramma corale, in cui tutti i personaggi hanno il loro spazio e il loro spessore, che non disdegna diverse incursioni nella comicità corrosiva. Si potrebbe riassumere sinteticamente in questi termini “La gatta sul tetto che scotta” che vede protagonisti Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni, per la regia di Arturo Cirillo. Emerge tutta la forza e la magistrale tensione narrativa di un testo per cui Tennessee Williams ottenne il suo secondo Premio Pulitzer nel 1955, dopo quello vinto da “Un tram che si chiama desiderio”. Tre anni dopo venne poi il film di Richard Brooks con Elizabeth Taylor e Paul Newman, con sei nomination agli Oscar

Colpisce nel segno ancora oggi la storia di “Maggie la gatta” (Vittoria Puccini), donna di bassa estrazione sociale che deve scontrarsi contro il muro di ipocrisia che regna nella famiglia del marito Brick (Vinicio Marchioni). Quest’ultimo, schiavo dell’alcol a causa del disgusto per l’ipocrisia che lo circonda, non sembra amarla né desiderarla. Anzi, spesso non la sopporta. Suo fratello (Francesco Petruzzelli) e sua cognata  (Clio Cipolletta) sfornano figli a ripetizione e agiscono per assicurarsi la cospicua eredità del padre di lui (Paolo Musio), che non sa ancora di avere un cancro. Maggie vorrebbe concepire un erede per non essere buttata giù dal tetto che scotta sopra una casa che brucia, che pure ha conquistato con fatica. Ma oltre alla posizione sociale le sta a cuore anche l’amore e per questo finge di aspettare un figlio da Brick. Lo annuncia mettendosi a carponi come i gatti, posizione che assume mentre pronuncia diverse battute chiave. In mezzo a tutto questo riemerge il passato, con l’amicizia di Brick con Skipper, morto suicida e di cui si vocifera un’omosessualità condivisa proprio col primo.

Vittoria Puccini La gatta sul tetto che scotta
L’intreccio di sentimenti, falsità e conflitti è forte ed in grado di reggere la rappresentazione assieme alla buona prova di tutto il cast. L’amore e la felicità che Maggie insegue ostinatamente sono impossibili anche a causa dell’aridità e delle falsità della famiglia di Brick, che vive per i soldi e il successo. La prima parte dello spettacolo è tutta della Puccini in grande spolvero, una Maggie acida, insofferente, velenosa, dalla voce graffiata e graffiante come una gatta. Prova a far ingelosire vanamente Brick, ma lui desidererebbe addirittura che lei avesse un amante e si anima solo quando si parla di Skipper. La seconda parte vede al centro il confronto tra Brick e suo padre. “Ma che festa meravigliosa stasera!”, esclama quest’ultimo, quando in realtà tutti in famiglia si odiano, mentono, sono falsi e si combattono a suon di sarcasmi amari. Grande interpretazione, in questa parte centrale, di Musio e di Marchioni, il quale dialoga splendidamente anche su una gamba sola (Brick ha un piede rotto e ingessato per l’arco di tutta la storia). “La vita ci rende bugiardi. Io sono così poco vivo da dire la verità”. E gli scappa del cancro del padre. La risoluzione finale è l’annuncio di ciò alla madre (Franca Penone) e la bugia di una Maggie che in realtà non è incinta ma arriva addirittura a strappare a Brick un “ti ammiro” e a farsi spalleggiare contro le invettive del fratello di lui e della cognata. La scena di Dario Gessati ci porta nell’unico interno della camera da letto di Maggie e Brick, con un muro che in determinati frangenti si apre e lascia intravedere un po’ di vegetazione. La regia di Cirillo si mantiene efficacemente asciutta e conservatrice. Uno spettacolo ben orchestrato, con ottime caratterizzazioni forti del testo di cui sopra, che per due ore rapisce lo spettatore con interesse e divertimento.

Cristiano Esposito

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