martedì 14 aprile 2015

Paternità, adozioni e cavilli: la famiglia quasi perfetta di Buccirosso al Cilea di Napoli

carlo buccirosso teatro una famiglia quasi perfetta
E’ un personaggio che non ti aspetti quello che interpreta Carlo Buccirosso nella nuova commedia da lui scritta e diretta, “Una famiglia…quasi perfetta!”. Soprattutto dopo i vari Don Guglielmo in “Finché morte non vi separi”, Mario Buonocore in “La vita è una cosa meravigliosa…” e il ristoratore in disgrazia Alberto Pisapia in “Il miracolo di don Ciccillo”. Tutti protagonisti vittime, remissivi, sulla cui indole appoggiare la macchina comica e certe atmosfere farsesche che qui si tingono maggiormente di giallo e suspense. Buccirosso veste ora i panni di Salvatore Troianiello, un padre appena uscito di galera che vuole andare a riprendersi con ogni mezzo suo figlio, adottato più di vent’anni prima da una coppia felice e che si credeva una famiglia perfetta. Cinico, brusco, acido, violento, fa la voce grossa come mai prima, se non nel Don Rodrigo comunque cialtrone de “I compromessi sposi”. Crede di aver ormai espiato le sue colpe, pretende che il buonsenso scavalchi il disordine legislativo e la mancanza di tutela del cittadino. Da soli sei giorni ha finito di scontare un terzo di vita in carcere per l’omicidio di sua moglie, si è trovato una fidanzata e ora rivuole il figlio che aveva abbandonato. Un figlio che nelle dimensioni è rimasto quello che aveva lasciato a causa di un morbo, ma questo lui non lo sa. “M’aggia fa’ ‘na famiglia!”, continua a ripetere con rabbia in attesa di rivederlo. “La paternità viene prima dell’adottabilità”. E’ ricco e può permettersi di tenere in ostaggio con quindicimila euro di acconto l’avvocato che aveva decretato l’adozione tanti anni prima. Ma Pinuccio, un cervello adulto nel corpo di un bambino in un mondo di corpi adulti con un cervello da bambini, non può non rispettare e amare la famiglia che lo ha “cresciuto”. 

carlo buccirosso teatro una famiglia quasi perfetta
Il primo atto si conclude in uno stile pulp che spiazza visibilmente gli spettatori. D’altronde oggi i delitti familiari si pensano e si consumano in poche ore, senza alcun preavviso. La commedia assume così toni drammatici che si scioglieranno soltanto dopo l’intervallo, a qualche minuto dalla riapertura del sipario. Non sveliamo nient’altro di questo spettacolo denso, per niente scontato e sorprendente anche per il pubblico fidelizzato di Carlo Buccirosso. Che dimostra di saper far ridere anche attraverso l’aggressività, ostacolando l’immedesimazione del pubblico col suo personaggio, tutto negativo fino alla penultima scena. La satira sulle contraddizioni della legge, su un paese per il quale “non esistono i buoni e i cattivi”, sulla disabilità nel mondo del lavoro, sfocia nel finale in un’affermazione che motiva tutte le azioni del protagonista: “senza famiglia nun si’ nisciuno”. Buccirosso ci fa ancora una volta ridere e riflettere su tematiche importanti, con i soliti ritmi serrati, il suo modo unico ed esilarante di porgere la battuta trascinandola, una storia che sfora le due ore (che andrebbero lievemente limate e ridotte) e si conclude con un epilogo reale, non lieto fino in fondo. La compagnia è di buon livello: Rosalia Porcaro (che strappa diverse risate quando si altera con la voce della suocera di Veronica, suo celebre personaggio), Gino Monteleone, l’asso nella manica Davide Marotta, Tilde De Spirito, Peppe Miale, Fiorella Zullo e Giordano Bassetti. Le curate scenografie sono di Gilda Cerullo e Renato Lori. Un teatro mai banale, mai scontato, per ridere in maniera intelligente con un autore che pochi sanno essere arrivato già alla sua nona commedia.

Cristiano Esposito

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