E’ un personaggio che non ti
aspetti quello che interpreta Carlo Buccirosso nella nuova commedia da lui
scritta e diretta, “Una famiglia…quasi perfetta!”. Soprattutto dopo i vari Don
Guglielmo in “Finché morte non vi separi”, Mario Buonocore in “La vita è una
cosa meravigliosa…” e il ristoratore in disgrazia Alberto Pisapia in “Il
miracolo di don Ciccillo”. Tutti protagonisti vittime, remissivi, sulla cui
indole appoggiare la macchina comica e certe atmosfere farsesche che qui si
tingono maggiormente di giallo e suspense. Buccirosso veste ora i panni di Salvatore
Troianiello, un padre appena uscito di galera che vuole andare a riprendersi con
ogni mezzo suo figlio, adottato più di vent’anni prima da una coppia felice e
che si credeva una famiglia perfetta. Cinico, brusco, acido, violento, fa la
voce grossa come mai prima, se non nel Don Rodrigo comunque cialtrone de “I
compromessi sposi”. Crede di aver ormai espiato le sue colpe, pretende che il
buonsenso scavalchi il disordine legislativo e la mancanza di tutela del
cittadino. Da soli sei giorni ha finito di scontare un terzo di vita in carcere
per l’omicidio di sua moglie, si è trovato una fidanzata e ora rivuole il
figlio che aveva abbandonato. Un figlio che nelle dimensioni è rimasto quello
che aveva lasciato a causa di un morbo, ma questo lui non lo sa. “M’aggia fa’
‘na famiglia!”, continua a ripetere con rabbia in attesa di rivederlo. “La paternità
viene prima dell’adottabilità”. E’ ricco e può permettersi di tenere in
ostaggio con quindicimila euro di acconto l’avvocato che aveva decretato
l’adozione tanti anni prima. Ma Pinuccio, un cervello adulto nel corpo di un
bambino in un mondo di corpi adulti con un cervello da bambini, non può non
rispettare e amare la famiglia che lo ha “cresciuto”.
Il primo atto si conclude in uno
stile pulp che spiazza visibilmente gli spettatori. D’altronde oggi i delitti
familiari si pensano e si consumano in poche ore, senza alcun preavviso. La
commedia assume così toni drammatici che si scioglieranno soltanto dopo
l’intervallo, a qualche minuto dalla riapertura del sipario. Non sveliamo
nient’altro di questo spettacolo denso, per niente scontato e sorprendente anche
per il pubblico fidelizzato di Carlo Buccirosso. Che dimostra di saper far
ridere anche attraverso l’aggressività, ostacolando l’immedesimazione del
pubblico col suo personaggio, tutto negativo fino alla penultima scena. La
satira sulle contraddizioni della legge, su un paese per il quale “non esistono
i buoni e i cattivi”, sulla disabilità nel mondo del lavoro, sfocia nel finale
in un’affermazione che motiva tutte le azioni del protagonista: “senza famiglia
nun si’ nisciuno”. Buccirosso ci fa ancora una volta ridere e riflettere su
tematiche importanti, con i soliti ritmi serrati, il suo modo unico ed
esilarante di porgere la battuta trascinandola, una storia che sfora le due ore
(che andrebbero lievemente limate e ridotte) e si conclude con un epilogo reale,
non lieto fino in fondo. La compagnia è di buon livello: Rosalia Porcaro (che
strappa diverse risate quando si altera con la voce della suocera di Veronica,
suo celebre personaggio), Gino Monteleone, l’asso nella manica Davide Marotta,
Tilde De Spirito, Peppe Miale, Fiorella Zullo e Giordano Bassetti. Le curate
scenografie sono di Gilda Cerullo e Renato Lori. Un teatro mai banale, mai
scontato, per ridere in maniera intelligente con un autore che pochi sanno
essere arrivato già alla sua nona commedia.
Cristiano Esposito
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