Gospodin è un personaggio moderno che guarda il mondo sottosopra, così come troviamo Claudio Santamaria all’apertura del sipario, disteso con la testa penzolante. Nei suoi dialoghi con Federica Santoro scorgiamo l’incomunicabilità dei nostri tempi, dove ognuno risponde all’altro parlando di cose diverse perché non lo stava ascoltando. Il tormentone dispregiativo verso i “borghesucci” manifesta la sua insofferenza per il capitalismo. Ma non è certo facile vivere davvero in maniera anticonvenzionale: Gospodin prova a evitare i marciapiedi ma ben presto è costretto a fare dietrofront per non finire travolto dalle auto. Elabora allora un suo dogma, eliminando dalla sua vita i soldi, le proprietà, le partenze e le decisioni. Vive di baratti per sottrarsi al sistema, possiede una valigetta piena di denaro che non utilizza e non regala ai suoi conoscenti, pur non riuscendo in nessuna maniera a disfarsene. Arriva poi all’assurdo dell’assurdo, che riesce a spiegare con le sue motivazioni: in galera trova tutto quello che cercava, la libertà che inseguiva da tempo, realizza i principi che sembrava tanto difficile applicare all’esterno. Gospodin è un uomo libero in galera: si tratta pur sempre di un paradosso spettacolare, ma capace di instillare nella mente degli spettatori qualche riflessione importante da un punto di vista originale.
Il testo, dell’autore tedesco Philipp Löhle, scandaglia in maniera corrosiva alcune facce della nostra società e assieme al protagonista tragicomico ci presenta altri personaggi bizzarri, resi brillantemente anche da Marcello Prayer. Le scenografie in graphic animation e videomapping di Lorenzo Bruno e Alessandra Solimene vengono sfruttate con alcune brillanti interazioni di Gospodin e ci restituiscono efficacemente una metropoli europea qualunque. Il tutto in un racconto simbolico ma che sa parlare un po’ di ognuno di noi, semplice, col quale si ride e si pensa. E in cui Santamaria si dimostra pienamente a suo agio, sfoggiando diverse sfumature interessanti. La regia di Giorgio Barberio Corsetti imprime un buon ritmo e la giusta misura ai tanti quadri brevi che si susseguono. Le scene sono sue e di Massimo Troncanetti, i costumi di Francesco Esposito, le luci di Gianluca Cappelletti.
Cristiano Esposito
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