domenica 17 gennaio 2016

“Servo per due”: Favino tra Goldoni, Fellini e gli anni ‘30

Una riscrittura ibrida tra farsa, commedia dell’arte, slapstick, stand-up comedy, varietà e musical con al centro quanta più energia possibile. E’ questo e molto altro “Servo per due”, spettacolo prodotto da Gli Ipocriti e dal gruppo Danny Rose, in scena in questi giorni al Diana di Napoli. Un’opera che nasce dalla penna di Carlo Goldoni ("Il servitore di due padroni") nel lontano 1745 per l’attore veneto Antonio Sacco, sulla falsariga del copione francese “Arlequin valet de deux maitres”. E che è stata recentemente riadattata dall’inglese Richard Bean, debuttando al National Theatre di Londra nel 2011 col titolo di “One man, two guvnors”. Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Marit Nissen e Simonetta Solder si sono basati su quest’ultima versione, scegliendo di ambientare la vicenda a Rimini nel 1936. Un Goldoni un po’ alla lontana, insomma, non certo quello dell’Arlecchino di Strehler (“Arlecchino servitore di due padroni”). Il protagonista (Favino) qui si chiama Pippo (solo il personaggio di Clarice mantiene il suo nome originario) e di quella maschera conserva soprattutto le movenze e i gesti tradizionali. Il suo alter ego Pasquale è napoletano così come alcuni stilemi della rappresentazione. Di uno spettacolo del quale è sacrosanto non svelare niente vi diciamo soltanto che la trama si alimenta degli equivoci cui Pippo va incontro trovandosi a dover servire due padroni. Equivoci che partono fin dalla prima battuta che Favino recita davanti ad una foto di Mussolini. Irriverente e stupido, Pippo dovrà prima pensare a vincere la fame e poi a conquistare il cuore di una vivace donzella. Il tutto inframmezzato dalle godibili canzonette anni ‘30 eseguite dal vivo dal quartetto “Musica da ripostiglio”.

Favino, amatissimo dal pubblico, è messo in grande risalto ma non siamo di fronte ad uno one man show; non è sempre presente in scena e ogni attore ha un suo spazio adeguato. Interagisce notevolmente con il pubblico, il quale entra nella narrazione e nel processo creativo (ma la quarta parete viene abbattuta ripetutamente anche da altri attori), improvvisa e si rivela un ottimo “Arlecchino jazz”, come l’ha efficacemente definito qualcuno. La regia firmata da lui insieme a Sassanelli ha inteso dar vita ad uno spettacolo comico, popolare e leggero ma con qualche richiamo di un certo livello. Si spazia infatti da Gigi D’Alessio e Fellini, con la nave Rex di “Amarcord” (lungometraggio ambientato tra il 1932 e il 1933) a trasportare il suo carico di nostalgia. C’è Wanda Osiris, il trio Lescano e c’è spazio anche per inserire, negli anni dell’Italia fascista, i “finocchi” e la bisessualità dichiarata di Rachele. Le due ore abbondanti che a qualcuno sono sembrate eccessive scivolano in realtà abbastanza lisce, anche se la narrazione risulta più debole nella seconda parte. Una produzione di qualità e quantità che conta su diciassette attori e quattro musicisti. In scena con Favino gli ottimi Anna Ferzetti, Bruno Armando, Fabrizia Sacchi e Paolo Sassanelli.

Cristiano Esposito

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