In questo loro ultimo lavoro i fratelli Servillo riescono davvero a far cantare la parola, come indica il titolo dello spettacolo. Ed è una parola inscindibile dalla musica del virtuosissimo Solis String Quartet, una parola che canta (e talvolta urla) Napoli, la sua arte autentica, il suo dolore lacerante, la sua vita incontenibile, la sua miseria e il suo splendore inarrivabili. Ne “La parola canta”, scrive Toni Servillo, “il teatro si fa musica e la musica si fa teatro” e autori di ogni epoca (Eduardo De Filippo, Raffaele Viviani, E. A. Mario, Libero Bovio, Enzo Moscato, Mimmo Borrelli, Michele Sovente e tanti altri) incrociano le loro opere, che appaiono come un unicum verace e pulsante autentico sangue partenopeo. Peppe e Toni Servillo si alternano nell’omaggio ad una Napoli che ha alimentato la loro creatività e la loro capacità, ravvisabile anche in questo caso, di far vedere nitidamente alla platea ciò che essi raccontano soltanto a parole. Peppe canta quasi sempre con un vibrato accentuato, impiega una grande mimica e interpreta i pezzi facendoli vivere nel profondo di chi ascolta. Toni spazia in una gamma di toni ricchissima: inveisce, impreca, urla, sussurra, parla le canzoni e canta le parole, recita tutto d’un fiato e sfoggia maestria di tempi comici quando arriva il turno del poemetto di Eduardo “Vincenzo De Pretore”.
Le voci dei due illustri fratelli si sovrappongono per la prima volta sul finale, in “Dove sta Zazà”, replicando poi nel corso dei generosi bis che terminano con il brano più antico proposto in questa rappresentazione: “Te voglio bene assaje”, scritto da un ignoto nel 1839. Lunghi applausi a scena aperta, oltre che per i due protagonisti, anche per Vincenzo Di Donna e Luigi De Maio al violino, Gerardo Morrone alla viola e Antonio Di Francia al violoncello. La tradizione partenopea viene originalmente miscelata e riscritta anche da loro, attraverso un suono che sembra provenire da una ben più nutrita orchestra. Un teatro popolare ma colto e di elevata qualità, che fa risplendere in maniera accecante la luce meravigliosa di una letteratura, senza téma di retorica, unica al mondo.
Cristiano Esposito
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