giovedì 31 ottobre 2013

L'"uomo e galantuomo" della coppia Imparato-Esposito firmato D'Alatri in scena al Diana di Napoli

"Uomo e galantuomo" è un testo sospeso tra la farsa e il dramma, scritto da un giovanissimo Eduardo De Filippo nel 1922 per il fratellastro Vincenzo Scarpetta. Fu allungato da uno a tre atti nel 1933, quando assunse anche il titolo attuale dopo essere andato in scena nel 1924 come “Ho fatto il guaio? Riparerò”. Una storia incentrata sul tema della pazzia, o presunta tale, piena di spunti irresistibilmente comici (rimangono proverbiali battute come "'nzerra chella porta!" o il tormentone "Je tengo 'na buatta...") e che miscela elementi del "Teatro Umoristico I De Filippo" e dell'Eduardo maturo, successivamente allo scioglimento del trio con i suoi due fratelli. Un'opera metateatrale, un vero e proprio esempio di teatro nel teatro di pirandelliana memoria, accompagnato da un esilarante gioco di equivoci fino al conciliante finale. La messa in scena diretta da Alessandro D'Alatri appare sobria, asciutta, rapida; è la visione di quest'opera di Eduardo colta dall'occhio di un regista non napoletano, senza eccessi nè folclorismi se si eccettuano i personaggi femminili vivacemente caratterizzati. A parte qualche invenzione comica sciorinata dal brillante Giovanni Esposito, nel ruolo di Attilio, e l'intermezzo in proscenio tra il secondo e il terzo atto, c'è grande rigore filologico, stretta aderenza al testo originale e al suo linguaggio. 
 
La scalcagnata compagnia teatrale "L'eclettica" porta in scena "Malanova" di Libero Bovio, con scarsi risultati, nella località turistica balneare di Bagnoli. Qui si ritrova coinvolta, suo malgrado, in un incrocio di equivoci e tradimenti borghesi che evidenzieranno le contraddizioni tra l'apparire e l'essere, il perbenismo di una certa classe sociale abbiente. Davanti alle difficoltà della vita e ai propri errori non è sempre facile mantenersi in equilibrio tra le necessità dell'uomo e le regole del galantuomo.  Qui il dramma dei borghesi viene interpretato con più talento e meno improvvisazione rispetto alle messe in scena de "L'eclettica". Ne vien fuori che il ceto benestante è spesso più bravo a recitare sul palcoscenico della vita, più a suo agio in ruoli in cui conta soltanto l'apparenza. Chi deve lottare per sopravvivere e per vincere la fame ogni giorno, come gli artisti di una volta, risulta più spontaneo. Viene dunque da chiedersi: chi è davvero l'uomo e chi il galantuomo? 

Tre atti, un primo con toni da farsa e i restanti due più drammatici, che rievocano in D'Alatri "profumi di Goldoni, Shakespeare, e anche un po' di quel teatro dell'assurdo che va da Osborne a Beckett a Jonesco". Il segreto è senz'altro la sapiente dialettica di Eduardo tra comico e tragico, che diverte, spiazza ed emoziona ancora, a quasi un secolo di distanza. Lo spettacolo, recentemente vincitore del Premio Camera di Commercio di Savona al Festival di Borgio Verezzi, può contare su una buona recitazione corale in cui spicca il mestiere di Gianfelice Imparato, il brio di Giovanni Esposito e la bravura di interpreti come Alessandra Borgia, Antonia Truppo e Valerio Santoro (le cui mosse da finto pazzo ricordano a tratti un certo Vincenzo Salemme). Non  sono da meno Fabrizio La Marca, Gennaro Di Biase, Giancarlo Cosentino, Roberta Misticone e Lia Zinno. Le scene scarne ed essenziali di Aldo Buti mettono la drammaturgia al centro della rappresentazione con un tocco di antirealismo. Eleganti e raffinati i costumi di Valentina Fucci.

Cristiano Esposito

                                                
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mercoledì 30 ottobre 2013

L'esseoesse di Biagio Izzo dà il via alla stagione del teatro Augusteo di Napoli

Tocca ad un onoratissimo Biagio Izzo aprire il cartellone 2013/2014 del teatro Augusteo di Napoli. E l’attore comico napoletano lo fa con il suo nuovo spettacolo, “Esseoesse”, scritto con Bruno Tabacchini e diretto da Claudio Insegno. La rappresentazione racconta le vicissitudini di un turista partito da Sharm El Sheikh per una escursione alle piramidi su un piccolo aereo che sorvola il Sahara. Un’avaria costringe ad un atterraggio di fortuna e i berberi sopraggiunti per salvare i passeggeri  non si accorgono che nel bagno, stordito, è rimasto un uomo. Biagio si ritrova così solo nel deserto rifugiandosi in una provvidenziale oasi, un luogo rassicurante ma troppo distante dalla realtà in cui è abituato a vivere. Scoprirà presto che gli manca tutto quello che maledice nella vita quotidiana: il lavoro, la famiglia e gli affetti. L’unico punto di contatto col mondo è la radio di bordo estratta dalla cabina di pilotaggio dell’aereo, che continua a trasmettere canzoni napoletane neomelodiche mandando a vuoto i tentativi di Biagio di lanciare richieste di aiuto. Nell'oasi ci sono le condizioni di sopravvivenza, ma il sole batte forte in testa e produce strani effetti: il turista disperso comincia a vedere intorno a sé ombre e figure che lo tormentano e gli tengono compagnia allo stesso tempo. Odalische sinuose si alternano a berberi, beduini, preti, soldati (tutti interpretati dal bravissimo Francesco Procopio, che mette in mostra il suo eclettismo fino a trasformare a tratti in sua spalla lo stesso Izzo, col quale vige una collaudata intesa), e ad altre allucinazioni e miraggi. Nel secondo atto Biagio sembra ambientarsi nel deserto in cui è costretto a vivere suo malgrado, in un "Cast away" tutto napoletano con perfino una moglie-fantoccio con cui discutere come se fosse a casa. Trova il suo equilibrio esistenziale proprio in quell’oasi che simboleggia il luogo immaginario della mente umana dove ognuno trova rifugio dalla vita frenetica e dalle preoccupazioni di tutti i giorni. L'oasi è sinonimo di pace, ma è anche una condizione che a lungo andare appare anomala. Ecco allora che Biagio comincia a credere di essere morto, di trovarsi nella pace eterna. Il rullare di un elicottero e il suo amico Francesco che viene a soccorrerlo, però, lo costringono a cancellare questa idea, proprio ora che si sentiva più vivo nell'aldilà che si era costruito che nella sua vita vera e propria.

Il format di uno spettacolo di Biagio Izzo è ormai ricorrente e consolidato. Un prologo video con i titoli di testa, l’incipit di una trama più o meno consistente che ad ogni modo lascia presto spazio ai monologhi di chiara matrice cabarettistica del protagonista, strani personaggi che lo circondano, un corpo di ballo a intervallare i numeri comici e finale con una più seria riflessione sull’essere umano e sui suoi problemi attuali. E il tutto continua a funzionare con l'apprezzamento di un pubblico affezionato che apprezza un tipo di comicità sopra le righe, chiassoso e vistoso, ma sempre genuino e ben interpretato.


Le belle scene di Luigi Ferrigno portano sul palco la fusoliera di un velivolo semisommersa dalla sabbia del deserto. Manca un guizzo nelle stereotipate musiche di Jacopo Fiastri. I costumi sono affidati alla celebre Graziella Pera, l'efficace disegno luci a Massimo Tomasino, le coreografie a Manolo Casalino. Uno spettacolo semplice e costruito per far evadere il pubblico, proprio come vuole, per due ore di risate e disimpegno, facendolo identificare nelle beghe odierne del personaggio in scena.


Cristiano Esposito

                                                
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lunedì 21 ottobre 2013

Marisa Laurito è "La signora delle mele" al teatro Cilea di Napoli


Sono Marisa Laurito e Giuseppe Zeno, protagonisti della commedia musicale "La signora delle mele", a dare il via al cartellone in abbonamento del teatro Cilea di Napoli. Il testo di Riccardo Manaò riscrive la novella di Damon Runyon «Madame La Gimp» ("gimp" in inglese significa zoppa e la Laurito entra davvero nel personaggio quando, ironia della sorte, durante la stagione scorsa si rompe il perone al terzo giorno di prove), da cui venne Frank Capra trasse ben due film: "Signora per un giorno" (1933) e "Angeli con la pistola" (1961). E' la storia di Annie (qui Regina), la barbona di Broadway col vizio dell'alcool, che vive di espedienti e vende mele, simbolo di New York, e di Dave "lo sciccoso", gangster che lascia intendere dalla sua prima entrata in scena di essere troppo buono per il "lavoro" che si è scelto. Convinto di ottenere dalle mele che acquista da Annie buona sorte nei suoi affari legati al proibizionismo, la aiuterà a trasformarsi nella signora che alla figlia lontana diceva di essere quando questa arriva in America col promesso sposo e suo padre.
 
L'avenue di Broadway, tutto apparenza e finzione di una realtà splendida e luccicante, rappresentato al tempo della grande depressione del 1929, si rispecchia nel personaggio di Annie, costretta però alla fine a rivelare la verità a sua figlia. Ad ogni modo, grazie ancora all'aiuto di Dave, nell'happy end trionferà ancora una volta la menzogna a mettere le cose in ordine. Più di trenta attori in scena, alcuni dei quali validi ballerini e cantanti anche se poco "sfruttati" dalla rappresentazione, e alcuni inconvenienti nei microfoni fanno perdere qualche parola al pubblico. Marisa Laurito riesce ancora a catalizzare l'attenzione anche se la sua tradizionale verve appare in qualche modo ingabbiata. I momenti migliori sono senz'altro quelli che la vedono alle prese con la musica, come nell'occasione della probabile citazione di "Casablanca", quando canta accompagnata al piano dal nero Charlie Jacobs Cannon. Giuseppe Zeno è a suo agio nel ruolo di Dave e mostra un buon physique du rôle, pur se anche qui il testo pare non dargli modo di fare qualcosa in più. Attorno a loro un cast di tutto rispetto di attori esperti come Mimmo Esposito (uno dei migliori certamente), Antonio Ferrante, Mario Santella e Giuseppe De Rosa. 
 
L'azione, tra voci afro americane, blues e jazz dei primordi e le grandi orchestre nere e bianche che facevano danzare il mondo e lo distoglievano dalla crisi, non decolla, troppo pochi e deboli i guizzi comici o drammatici. In questa favola moderna manca qualche invenzione per rendere il tutto più spettacolare; diversi personaggi appaiono troppo "normali", neutri, senza la necessaria caratterizzazione. Note positive i costumi di Mariagrazia Nicotra, le scene di Bruno Garofalo, che cura anche una regia corale e snella, proiettate su quinte e pannelli mobili con le immagini videografiche di Claudio Garofalo, e le (poche, per una commedia musicale) canzoni in pieno stile jazz composte da Nicola Piovani su versi di Vincenzo Cerami, che danno colore e consistenza alla messa in scena.

Cristiano Esposito

                          
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giovedì 17 ottobre 2013

La comicità che non invecchia: il ritorno dei Trettrè al teatro Cilea di Napoli

Oggi è ancora possibile ridere come si rideva una volta. Lo dimostra la reunion dei Trettrè al teatro Cilea di Napoli. I loro sketch surreali, demenziali ma con una buona dose di intelligenza (oggi sempre più rara), funzionano ancora e la loro tenuta premia la rinuncia a cambiare uno stile solo perché sono cambiati i tempi. Mirko Setaro, Edoardo Romano e Gino Cogliandro non si sono mai lasciati, si sono solo allontanati quando fare spettacolo insieme era diventato un lavoro, un’abitudine. La televisione a metà degli anni '90 stava andando in una direzione che non gli apparteneva, e non apparteneva alla tradizione della loro comicità. I Trettrè tornano oggi a divertirsi insieme dopo diciotto anni. L’emozione è palpabile, il luogo del delitto scelto per la rimpatriata è quel teatro Cilea che li vide esibire insieme per l'ultima volta diciotto anni fa. Senza nessuna paura della locuzione latina "nemo propheta in patria". Anche perché si tratta di una festa per i trent’anni di carriera, un'occasione speciale per riportare in scena gli sketch storici rivisti e corretti alla luce dell’attualità. 

Trent'anni fa il trio Setaro-Romano-Cogliandro arrivava al grande successo nazionale con la trasmissione televisiva “Drive in"; il tempo è passato ed ha lasciato i suoi segni, ma con loro si è rivelato un vero galantuomo. E, soprattutto, la classe ed il talento non sono acqua. I Trettrè sono ancora dei signori attori comici e passano con ottimi voti anche questa prova. La loro comicità è tutta nelle parole pronunciate durante la conferenza stampa di presentazione dello spettacolo, intitolato "Eccezionalmente...Trettrè": “Sarebbe bello, come si faceva un tempo, far ridere non necessariamente con battute colorite, ma soprattutto ponendo all’attenzione del pubblico un messaggio, una riflessione da accentuare poi in chiave comica e parodica quasi come se fosse una distorsione della realtà quotidiana stessa di cui tutti, bene o male, siamo partecipi e in cui, solo in quel modo, riusciamo ad identificarci”. Non escludono nemmeno una seconda vita artistica insieme: “Ci godiamo il momento senza alcuna preclusione ed esclusione e attualmente ci preme far divertire nel miglior modo possibile il pubblico, cercheremo di coinvolgerlo con tutta la nostra simpatia”.

Gli sketch sono spesso irresistibili, i personaggi riportano alla mente piacevoli ricordi attingendo al passato ma con brillanti incursioni nell'attualità. Si spazia dalla Corrida allo Zecchino d'oro (due antesignani italiani degli odierni reality), dalla classica scenetta all'ufficio postale alle vendita promozionali di gondole in plastica, fino a chiudere con l'ufficio di polizia, uno dei cavalli di battaglia di "Drive in". In mezzo freddure flash, comicità nonsense e guizzi ancora notevoli.
In scena con i Trettrè anche il corpo di ballo formato da Tonia Sequino, Roberta Maria, Monica Caruso e Alessia Di Maio; i costumi sono di Maria Pennacchio, le luci di Mario Esposito e l'organizzazione di Patrizio Tabacchini. Lo spettacolo è buon motivo per andare a teatro ad applaudire un pezzo importante di comicità italiana, ai cui esponenti non si può non voler bene, non foss'altro per le tante risate pulite che ci hanno regalato raccontando vizi e virtù della città partenopea e non solo. Come dice Setaro in scena, commentando gli sketch: "questo è quello che succedeva anni fa...oggi è molto peggio".


Cristiano Esposito
                          
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lunedì 14 ottobre 2013

Renato Carosone rivive attraverso Sal Da Vinci al teatro Diana di Napoli


Uno spettacolo a metà tra il musical e il recital, dedicato all'immortale maestro Renato Carosone, apre la stagione del teatro Diana di Napoli. Ed il brillante protagonista è Sal Da Vinci, che supera sia a livello canoro che recitativo una prova non facile. Il pretesto della narrazione di "Carosone, l'americano di Napoli" è il tentativo di Tony (Lello Radice), giornalista musicale, di capire i motivi del primo ritiro dalle scene del cantautore napoletano nel momento di maggior popolarità, al fine di convincere la Rai a realizzarne una fiction. I dirigenti di viale Mazzini gli chiedono però di inserire ingredienti come sesso, gossip, scandali, gag facili. Ed ecco materializzarsi davanti agli occhi del giornalista proprio lui, il maestro, interpretato da Sal Da Vinci, a spiegargli che tutto quello che occorre è già nella sua musica, ancora attualissima e ballata dai ragazzi nelle discoteche di tutto il mondo.
 
Una maniera moderna di ricordare l'americano di Napoli, il suo sorriso, la sua musica travestita da commedia all'italiana. Con una fusione di retrò e moderno (che era poi il modo di far musica del maestro), un'alternanza di versioni dance dei brani più popolari di Carosone e di esecuzioni live della band dal sapore vintage. Il tutto per dar vita ad una rappresentazione adatta ad ogni tipo di pubblico, che strizza l'occhio in particolare ai più giovani. Videoproiettate su uno schermo a forma di coda di pianoforte le testimonianze di Renzo Arbore, Carlo Verdone, Pino Daniele, Enzo Jannacci e Raiz. E poi altri filmati di ieri e di oggi, in bianco e nero e a colori. Il vero fulcro dello spettacolo è però l'eterno canzoniere di Renato Carosone, che a riascoltarlo ancora oggi ci rende tutti un po' carosoniani. Ed allora brani come "Torero", ascoltabile anche in un mix electro-swing con ventitré diverse versioni della canzone pubblicate in giro per il mondo, "'O sarracino", "Pigliate 'na pastiglia", "Tu vuo' fa l'americano", "Caravan Petrol", "Chella llà" e un medley strepitoso di Sal Da Vinci al piano con pezzi come "T'aspett 'e nove" e "Tre numeri al lotto", ci accompagnano in un viaggio musicale in quegli anni '50 di un'Italia che voleva ripartire, proprio come oggi.

Accanto a Sal Da Vinci, che non rinuncia al suo stile canoro in questa interpretazione, Giovanni Imparato, già percussionista di Lucio Dalla e dell'Orchestra Italiana di Arbore, nei panni del batterista  Gegè Di Giacomo; Pietro Botte dei "Posteggiatori tristi", recentemente visto sul palco con Vinicio Capossela a Napoli e vincitore del Premio Carosone 2011, che impersona il chitarrista Peter Van Wood; Forlenzo Massarone, che interpreta Fred Buscaglione nel confronto con Renato Carosone. La star del burlesque, Claudia Letizia, è la compagna del giornalista musicale Tony e, soprattutto, Maruzzella. Il testo è di Federico Vacalebre, la regia di Fabrizio Bancale, le coreografie di Ferdinando Arenella, gli arrangiamenti di Lorenzo Hengeller, i remix di Gransta Msv e le scenografie di Massimiliano Pinto. Davvero apprezzabile anche il corpo di ballo electroswing.

"Carosone, l'americano di Napoli" non racconta la vita ma fa rivivere i maggiori successi di Carosone sotto una nuova, scintillante luce, senza un intreccio forte sottostante. Una produzione godibile e di quelle sempre utili per la trasmissione alle nuove generazioni dei nostri artisti irripetibili, figli di altre epoche. E' già in vendita il cd con la colonna sonora dello spettacolo, di cui verrà prodotto anche un dvd con preziosi extra carosoniani. Il tour arriverà a Roma agli inizi del prossimo anno. Insomma, "Ricanta Napoli!" come direbbe il grande Gegè Di Giacomo.

Cristiano Esposito

                                                
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mercoledì 2 ottobre 2013

Vinicio Capossela e la "Banda della posta" fanno ballare l'Arenile di Napoli


Per una sera l'Arenile Reload di Bagnoli (Napoli) si trasforma in un paesino dell'Alta Irpinia, in un'atmosfera tra sagra e sposalizio. Già, lo sposalizio; il corpo e il pane, il mattone fondante della comunità, consumato con cibo e musica umile, da ballare per favorire l'impegnativa digestione. Vinicio Capossela per questa nuova avventura si è scelto la "Banda della posta" come compagna di viaggio. A Calitri, provincia di Avellino, molti anni fa un gruppo di suonatori si ritrovava davanti all'ufficio postale nel corso di pomeriggi assolati. Montavano la cosiddetta "guardia alla Posta", per controllare e sorvegliare l’arrivo della tanto agognata pensione. Quando l’assegno finalmente arrivava , l'allegra combriccola tirava gli strumenti fuori dalle custodie e cominciava a suonare un repertorio immenso di mazurke, polke, valzer, passo doppio, tango, tarantelle, quadriglie e foxtrot. Generi musicali, insomma, che imperavano nell’Italia degli anni '50 e '60, quando lo “sposalizio” era la principale occasione di incontro, musica e ballo. Alcuni componenti della "Banda della posta" hanno oggi tra i settanta e gli ottanta anni e un migliaio di sposalizi alle spalle. 

Il concerto di Napoli, prevalentemente strumentale e dedicato alla memoria di Rocco Briuolo, ci regala un inconsueto Capossela che balla con la folla più che cantare e incita a lasciarsi andare tra riso, coriandoli e stelle filanti. Un mix che fila via liscio di brani suoi, della Banda e di reinterpretazioni di altri artisti. Trovano spazio gli omaggi ad Adriano Celentano ("Si è spento il sole"), Salvatore Adamo ("La notte"), Rocco Granata ("Manuela") e Matteo Salvatore, cantore dello sfruttamento latifondista del Sud Italia.

Impossibile restare fermi, impossibile non voler bene a questi signori attempati, elegantemente vestiti alla maniera dei complessi d'altri tempi e con i volti segnati dal disgregarsi del tipo di comunità da cui provengono. Il pubblico gli tributa le giuste ovazioni, loro ringraziano radiosi e raggianti di soddisfazione. Peppino ha superato gli ottanta, è il più anziano e il più invocato a fine concerto. Non dispiace al pubblico il  Vinicio Capossela cerimoniere dal gusto western, anche se qualcuno si aspettava di assaporare "più Vinicio" in questo evento napoletano. Lui, follemente innamorato della "Banda della posta, ne ha prodotto un anno fa il primo disco, intitolato "Primo ballo"; venti brani tipici della zona dell'Irpinia che i musicisti calitresi della posta suonavano durante gli sposalizi nel corso degli anni '50. Capossela li ha portati con sé sul palco del "My Festival" di Patti Smith all'Auditorium Parco della musica di Roma e poi, sempre nella capitale, al concerto del primo maggio. Perché, afferma, «questo genere di brani regala un senso gioioso, rallegra, fa venire voglia di baldoria, si mette al servizio di una festosità che in passato affiorava soprattutto durante i cosiddetti sposalizi, quando il ballo rendeva le persone meno rigide, meno spigolose, le portava a inzupparsi di sudore e di vita e le faceva "sponzare"». Lo sposalizio dell'Arenile di Bagnoli si chiude con l'intervento dei "Posteggiatori tristi" e con l'organetto di "Ovunque proteggi", sul l'invito dell'istrionico, errante, randagio e sentimentale Vinicio ad abbracciarsi e volersi bene sempre.

Cristiano Esposito

                          
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