Un omaggio-non omaggio, che da Totò parte e a Totò arriva, ma che nel mezzo ha qualcos’altro. E qui c’è da apprezzare lo sforzo drammaturgico, che evita di riproporre semplicemente le gag più celebri del principe De Curtis. Ci sono diversi spunti in questo “Compagnia Totò”: la filosofia napoletana come volano per l’articolazione del pensiero, la miseria ravvisabile appena dietro le risate suscitate dalle interpretazioni del Principe (che dalla più nera miseria veniva) e il suo riscatto, la ribellione satirica ai potenti. Probabilmente andavano legati in una maniera più lineare, in un intreccio più solido; ma tant’è, siamo comunque di fronte ad un esempio di teatro onesto, viscerale, accorato ma non disilluso. Proprio come la gente che ancora oggi cerca Totò, che non se n’è mai andato e che viene regolarmente invocato dal popolo, autentico santino che vanta una nutrita schiera di fedeli. Anche se col tempo sono sempre meno le iniziative, istituzionali e non, che lo commemorano: come recita Ciccillo (Giovanni Esposito) in scena “l’hanno sparato a Totò, nun ce sta cchiù!”.
E allora ci pensa la compagnia Totò, composta da miseri guitti che riparano in quella “discarica con le luci” che è il teatro, sotto la guida e la protezione di Maestà (Francesco Paolantoni), che mantiene viva la dignità di quest’arte anche nel più fatiscente dei seminterrati. L’affiatamento dei due protagonisti è buono; accanto a loro una schiera di attori brillanti che forse potevano essere maggiormente utlizzati come Virginia Da Brescia, Pino Tufillaro, Giovanni Del Monte, Arduino Speranza. Testo e regia di Giancarlo Sepe, per uno spettacolo che inserito nella cornice dello storico San Ferdinando, in piazza Eduardo De Filippo, è ancora più suggestivo e solenne.
Cristiano Esposito
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