Il cibo e l’atto del mangiare nella loro accezione più
meccanica e simbolica sono al centro di “Maccarune”, testo di Luciano
Saltarelli che sceglie di raccontare Napoli attraverso surreali e grotteschi
personaggi inseriti in una trama noir. Proprio la cucina, grande tradizione e al
tempo stesso stereotipo napoletano, viene dissacrata, ribaltata, svuotata ed è
pretesto per parlare di una fame atavica e immotivata, che conduce ad azioni
scellerate e disumane. Si arriva a manipolare, capovolgendone il colore,
battute celebri da “Miseria e nobiltà”, che pure di fame parlava.
Ferdinaldo e sua moglie Rosanda per risollevare le proprie condizioni
economiche decidono di raggirare il sempliciotto Gennargo, che abita sullo
stesso pianerottolo. Durante un pranzo, con l'aiuto di Antoniettella, ingenua
ragazza presa da poco a servizio, convincono il timido amico a cedere loro un
magazzino avuto in eredità dalla madre da poco defunta, con la scusa di volervi
aprire in società con lui un ristorante. Dopo aver a fatica convinto Gennargo a
firmare la cessione del locale, inscenano una movimentata e pericolosa giornata
nel futuro ristorante per dissuadere il pavido amico dallo stare nel locale. Durante
la goffa messa in scena Ferdinaldo, fortuitamente, uccide Gennargo. Nascosto il
corpo nella cella frigorifera, sopraggiunge inaspettato Cirenzo, fratello
gemello di Gennargo e uomo di malavita, che, inseguito da un killer, si rifugia
proprio a casa dei due coniugi. Incalzato dal sicario Cirenzo si nasconde nel
congelatore e, solo dopo essere sfuggito all'agguato, s'accorge della tragica
morte del fratello. Decide quindi di sostituirsi in tutto e per tutto al
gemello, costringendo i due coniugi a cibarsi del cadavere, sia per vendetta
sia per disfarsi definitivamente del corpo. Dopo qualche tempo gli eventi si
capovolgono. Cirenzo e Antoniettella sono diventati amanti e proprietari del
ristorante, Rosanda vedova di Ferdinaldo, tragicamente morto per una sincope.
Maccarune gioca con la fantasia e le elaborazioni oniriche, a
detta dell’autore per sfuggire da una realtà che è “noiosa successione di
eventi prevedibili e tappezzati di mediocrità”. Purtroppo la vicenda appare a
tratti molto aderente alla nostra realtà attuale, sempre più anarchica e
surreale, a Napoli come altrove. La cattiveria e il cinismo imperanti riempiono
i personaggi in scena e i loro pancioni posticci, ma qualcosa sembra di averlo
già visto o sentito anche nella vita di tutti i giorni. Saltarelli diffida dal
cercare il messaggio e il senso veicolato dall’autore, perché per lui scrivere
questa pièce teatrale è stato semplicemente come mettere per iscritto un sogno,
dimenticato già pochi minuti dopo il risveglio. Rimane allora solo da evidenziare
un grande Giampiero Schiano in un triplice ruolo, gran mattatore con tre
caratterizzazioni riuscitissime e prova di grande eclettismo. E la bellezza del
linguaggio, mai banale, a tratti in rima grottesca e affascinante. Buona prova
anche degli altri interpreti in scena: Antonella Raimondo, Luciano Saltarelli e
Manuela Schiano Lomoriello. Uno spettacolo tra pulp, farsa e tragedia, che
diverte e sorprende, con tanto di estrazione finale di un pacco di pasta per
gli spettatori. Cosa non si fa oggi per un piatto di maccheroni; dopo avercelo
mostrato in scena gli attori in scena ne regalano un po’, magari come invito a
placare la fame atavica ed immotivata di cui sopra.
Cristiano Esposito
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