"Monnezza" è uno spettacolo che non può lasciare
indifferenti. Vuoi per la travolgente comicità nera, vuoi per l'inquietante
problematica sociale che solleva, vuoi per la bravura degli interpreti. A
Napoli la spazzatura è un magico, inimmaginabile filo rosso che lega tra loro
la famiglia, il lavoro, la chiesa, la camorra e la politica. Lo spiega bene
Francesco De Filippo nel suo libro intitolato appunto "Monnezza",
utilizzato da Carmine Borrino di un adattamento teatrale testimone del tempo
che viviamo. Infondo il regista Peppe Miale aveva proprio quest'obiettivo:
raccontare una storia drammatica senza farla sembrare una delle tante, già
sentita e risentita, senza lasciare indifferenti gli spettatori. Provando a
smuovere almeno una coscienza, con la sfrontatezza che solo il teatro consente.
Con la certezza che "la coscienza e la monnezza sono quanto di più
distante possa e debba esistere".
La trama vede protagonista una coppia di coniugi e la loro
storia d'amore durante i quindici anni dell'emergenza rifiuti a Napoli. Gerardo
e Antonietta, appena sposi, intravedono nella periferia e nelle vantaggiose
offerte che propone la possibilità di vivere in una casa grande ed economica.
Ma la monnezza non tarderà a diventare protagonista, tra chi ne trae vantaggio
con manovre losche e chi, magari inconsapevolmente connivente, ne subisce le
nefaste conseguenze. Attorno alla coppia vivono insomma vari personaggi stereotipo
afferenti al lasso di tempo che va dal 1989 al 2006. Tante, troppe persone in
quegli anni hanno probabilmente agito più per l'immediata convenienza che per
una più opportuna lungimiranza. Ad esempio anche solo per evitare di pagare la
tassa sui rifiuti. Emerge chiaramente l'esigenza di una nuova coscienza
collettiva di cui speriamo possano beneficiare i nostri figli. Ad inizio
spettacolo, con Gerardo e Antonietta in ospedale al capezzale della figlia
ammalata di chissà cosa a causa della monnezza, la mente vola automaticamente alla
"Napoli milionaria" di Eduardo. La nottata, a distanza di oltre
sessant'anni non è mai passata, e chissà se e quando passerà; la speranza con
gli anni perde vigore e noi siamo sempre più colpevoli e complici. I due
genitori in attesa nel nosocomio si chiedono perché tutto ciò debba capitare
proprio a loro e ci fanno capire quanto siamo duri di comprendonio e come non
vogliamo riconoscere il male nemmeno quando ci è già entrato in casa. Eppure la
videoproiezione alle loro spalle è emblematica: "Non ce ne siamo manco
accorti e simm'addiventati africani. Siamo scivolati verso sud mentre pensavamo
di stare fermi. Nuje simm' Gaza e nuje siimmo Korogocho. Facimmo 'a morte dei
tonni, chiusi nell'ultima gabbia ce manca ll'aria". Sversamenti illegali,
istituzioni complici, speculazioni sulla pelle della povera gente. Serve una
nuova coscienza collettiva, dicevamo: ed è da luoghi come il teatro che può e
deve partire l'impulso a cambiare qualcosa, ad invertire la rotta verso il
baratro in cui ci stiamo dirigendo.
Monumentali Ernesto Lama e Rosaria De Cicco tra gli attori,
passano con disinvoltura dal comico grottesco al serioso drammatico con lo
stesso, ottimo, risultato. Grande interpretazione anche di Agostino
Chiummariello, e non sono da meno i vari Gennaro Silvestro, Federica Altamura,
Ivan Fiorenza, Christian Parisi e Laura Zaccaria. Essenziali ma d'effetto le
scene di Tonino Di Ronza, così come le musiche di Massimo D'Ambra.
Cristiano Esposito
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