giovedì 28 marzo 2013

La "Monnezza" e quella nottata che non passa mai

"Monnezza" è uno spettacolo che non può lasciare indifferenti. Vuoi per la travolgente comicità nera, vuoi per l'inquietante problematica sociale che solleva, vuoi per la bravura degli interpreti. A Napoli la spazzatura è un magico, inimmaginabile filo rosso che lega tra loro la famiglia, il lavoro, la chiesa, la camorra e la politica. Lo spiega bene Francesco De Filippo nel suo libro intitolato appunto "Monnezza", utilizzato da Carmine Borrino di un adattamento teatrale testimone del tempo che viviamo. Infondo il regista Peppe Miale aveva proprio quest'obiettivo: raccontare una storia drammatica senza farla sembrare una delle tante, già sentita e risentita, senza lasciare indifferenti gli spettatori. Provando a smuovere almeno una coscienza, con la sfrontatezza che solo il teatro consente. Con la certezza che "la coscienza e la monnezza sono quanto di più distante possa e debba esistere". 

La trama vede protagonista una coppia di coniugi e la loro storia d'amore durante i quindici anni dell'emergenza rifiuti a Napoli. Gerardo e Antonietta, appena sposi, intravedono nella periferia e nelle vantaggiose offerte che propone la possibilità di vivere in una casa grande ed economica. Ma la monnezza non tarderà a diventare protagonista, tra chi ne trae vantaggio con manovre losche e chi, magari inconsapevolmente connivente, ne subisce le nefaste conseguenze. Attorno alla coppia vivono insomma vari personaggi stereotipo afferenti al lasso di tempo che va dal 1989 al 2006. Tante, troppe persone in quegli anni hanno probabilmente agito più per l'immediata convenienza che per una più opportuna lungimiranza. Ad esempio anche solo per evitare di pagare la tassa sui rifiuti. Emerge chiaramente l'esigenza di una nuova coscienza collettiva di cui speriamo possano beneficiare i nostri figli. Ad inizio spettacolo, con Gerardo e Antonietta in ospedale al capezzale della figlia ammalata di chissà cosa a causa della monnezza, la mente vola automaticamente alla "Napoli milionaria" di Eduardo. La nottata, a distanza di oltre sessant'anni non è mai passata, e chissà se e quando passerà; la speranza con gli anni perde vigore e noi siamo sempre più colpevoli e complici. I due genitori in attesa nel nosocomio si chiedono perché tutto ciò debba capitare proprio a loro e ci fanno capire quanto siamo duri di comprendonio e come non vogliamo riconoscere il male nemmeno quando ci è già entrato in casa. Eppure la videoproiezione alle loro spalle è emblematica: "Non ce ne siamo manco accorti e simm'addiventati africani. Siamo scivolati verso sud mentre pensavamo di stare fermi. Nuje simm' Gaza e nuje siimmo Korogocho. Facimmo 'a morte dei tonni, chiusi nell'ultima gabbia ce manca ll'aria". Sversamenti illegali, istituzioni complici, speculazioni sulla pelle della povera gente. Serve una nuova coscienza collettiva, dicevamo: ed è da luoghi come il teatro che può e deve partire l'impulso a cambiare qualcosa, ad invertire la rotta verso il baratro in cui ci stiamo dirigendo.

Monumentali Ernesto Lama e Rosaria De Cicco tra gli attori, passano con disinvoltura dal comico grottesco al serioso drammatico con lo stesso, ottimo, risultato. Grande interpretazione anche di Agostino Chiummariello, e non sono da meno i vari Gennaro Silvestro, Federica Altamura, Ivan Fiorenza, Christian Parisi e Laura Zaccaria. Essenziali ma d'effetto le scene di Tonino Di Ronza, così come le musiche di Massimo D'Ambra.

Cristiano Esposito
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