lunedì 16 dicembre 2013

"Miseria e nobiltà" secondo Laura Angiulli in scena a Galleria Toledo di Napoli


E' un "Miseria e nobiltà" quasi a due facce quello messo in scena da Laura Angiulli a Galleria Toledo. Un primo atto nero come la fame, nelle scene che non ci sono, nei personaggi e nella recitazione, con solo sei sedie diverse e un soprabito che non verrà mai impegnato perché non è mica quello di Napoleone. Gli attori recitano con tono solenne, austero, cupo, con lo sguardo fisso davanti a loro. L'oppressione in un ambiente angusto, la miseria e la fame nera rendono impossibile la serena convivenza. Il secondo atto naviga fra la farsa e la macchietta, con luci più piene e calde, con un doppio sipario che evidenzia la finzione del teatro nel teatro, in quest'opera elevata a potenza ed evocata continuamente nei dialoghi. Adesso i personaggi sono simpaticamente accattivanti, recitano la loro parte con nasi posticci per guadagnarsi una zuppa. Divertono ma non sembrano divertirsi, tant'è che approfittano della prima occasione utile per riposarsi dalle fatiche della loro recitazione, si spaparanzano sui divani  e si tolgono i nasi finti fino alla ripresa della finzione. Il sapiente intreccio di sentimenti, inganni, umori, amori e mondi distanti soltanto a causa della disponibilità economica, creato dalla fervida mente di Eduardo Scarpetta nel 1887, regge ancora e spinge a elaborare nuove riletture. Questo grazie anche a delle figure umane e sociali tratteggiate con acume e originalità. Alla fine vince chi il denaro veramente ce l'ha, e cioè il nuovo ricco da cui tutti accorrono e si affannano per attingere qualcosa di cui vivere. 

La Angiulli accentua la finzione in diverse maniere, una su tutte assegnando a Roberto Giordano, che sarà alto quasi due metri, la parte del piccolo Peppeniello. Ma, ad esempio, anche gli spaghetti del primo atto e i gelati del secondo non esistono, e gli attori fingono vistosamente di mangiare in un pentolone vuoto o di leccare cucchiai puliti che non affondano in alcun bicchiere. Viene conservato con attenzione poi il fascino del dialetto antico e la sua sempre godibile musicalità, riverberata da un quasi spensierato Felice Sciosciammocca che si ritrova spesso a cantare e dalla celebre "risa" di Bernardo Cantalamessa.

Tra gli interpreti spiccano Alessandra D'Elia, Tonino Taiuti e Agostino Chiummariello, ma è buona anche la prova del resto della compagnia: Laura Borrelli, Michele Danubio, Roberto Giordano, Stefano Jotti, Antonio Marfella e Nunzia Schiano, il cui talento appare un attimino imbrigliato. L'impianto scenico è di Rosario Squillace, le luci di Cesare Accetta.

Cristiano Esposito
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