mercoledì 28 dicembre 2016

Lo splendido tributo dei "Quanno good good" a Pino Daniele al Summarte di Somma Vesuviana

Un'atmosfera particolare, intima e magica. È quella che riescono a creare i "Quanno Good Good", cover band di Pino Daniele che si è esibita anche quest'anno al teatro Summarte di Somma Vesuviana (Napoli). Un posto delizioso, dove gli spettatori accorsi al tributo sono riusciti a entrare in una speciale connessione con Pino. La lunga scaletta si è aperta con "Chi tene 'o mare" e "Che te ne fotte", che contiene la frase che dà il nome alla band.

Un ensemble di tutto rispetto: insieme alla voce di Olimpio Marino ci sono le chitarre di Franco Di Giovanni, il basso di Peppe Mangiaracina, la batteria di Paolo Fabbrocino, le tastiere di Marco Fiorenzano e il sax di Enzo Anastasio, protagonista di grandi assoli. La caratteristica che fa risaltare il tutto è la volontà dei "Quanno Good Good" di rendere omaggio a Pino Daniele senza scimmiottamenti, facendo emergere uno stile proprio.

Ecco allora che i brani dell'epoca d'oro del cantautore napoletano risplendono di una luce nuova: "Have you seen my shoes?", "Un giorno che non va", un'incalzante e coinvolgente "Basta 'na jurnata 'e sole", "Cumbà", "Anna verrà", il medley "Je sto vicino a te"/"Io vivo come te", "Maronna mia" reinterpretata in chiave rock, "Chillo è 'nu buono guaglione", "Sulo pe' parlà", "E cerca 'e me capì" e "Alleria". Momento speciale quello che Olimpio Marino dedica alla sua piccola Elena che, sarà un caso, ma arzilla fino a qualche momento prima si addormenta all'istante sulle note di "Ninnananinnanoè".

E poi ancora "Keep on movin'", "Viento 'e terra", "Yes I know my way", l'applauso emozionato a Massimo Troisi dopo "Quando" e "Qualcosa arriverà", "Ferryboat", "Tutta 'nata storia", "A me me piace o blues" e i bis di "Che ore sò" e "Napule è" (con un delizioso giro di chitarra di Di Giovanni in stile Coldplay). Una serata semplice ma piena di passione, emozioni e buona musica. Proprio come sarebbe piaciuta a Pino.

Cristiano Esposito
 
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sabato 24 dicembre 2016

Francesco Paolantoni invita tutti nel suo salotto al Sancarluccio di Napoli

L'intenzione dichiarata dello spettacolo "Salotto Paolantoni" è quella di far sentire tutti i presenti come a casa del comico napoletano, in un'atmosfera intima e familiare che sicuramente un teatro come il Sancarluccio ispira. Già nel foyer è possibile osservare i quadri dell'artista, composti da mosaici di dadini di argilla (nelle opere iniziali la materia prima era il pane). 

Poi in sala, a fare da scenografia, soltanto due sedie di bambù e un tavolino. Lo stesso Francesco Paolantoni invita gli spettatori a comportarsi come se fossero a casa di un amico: i cellulari possono rimanere accesi e si può anche andare in bagno qualora lo si voglia. In scena va la classica comicità di un'esponente di un'altra era di risate, in cui non occorrevano necessariamente travestimenti né tormentoni senza senso per colpire nel segno. 

Il tutto è davvero una discussione aperta col pubblico, che in qualche maniera fa lo spettacolo col protagonista. Si salta in piena libertà da un argomento all'altro senza alcuna quarta parete; dall'attualità alla medicina, dai bambini al rapporto uomo-donna. Ci sono le favole, cavallo di battaglia di Paolantoni, ma non i suoi personaggi di successo (Robertino, De Lollis ecc.), pure annunciati nella scheda dello spettacolo. E c'è il divertimento del pubblico per un esperimento originale, lineare e riuscito.

Cristiano Esposito

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mercoledì 21 dicembre 2016

Massimo Ranieri fa rivivere ancora Viviani con “Teatro del porto” al Diana di Napoli

Ancora Massimo Ranieri diretto da Maurizio Scaparro, ancora Raffaele Viviani. Ancora un omaggio alle poesie, ai canti, ai numeri di varietà, agli scritti e alle musiche del grandissimo autore originario di Castellammare di Stabia. E anche il teatro è lo stesso: Gli Ipocriti tornano infatti al Diana di Napoli dopo il successo di “Viviani Varietà” di tre anni fa.

Questa volta lo spettacolo si apre con l’annuncio di una imminente tournée in Sud America per una compagnia che sta vivendo la crisi degli anni del fascismo (altro tema purtroppo attuale è l’emigrazione). Gli spettatori assistono quindi all’ultima recita che si terrà nell’immaginario "Teatro del porto", "spazio sospeso tra mare e terra" come lo definisce Scaparro, prima della partenza.

Un carosello di personaggi tipicamente vivianei come emigranti, zingari, pescatori, guappi, gagà, cocotte e prostitute domina la scena tra dramma e comicità. E fa rivivere brani come «Canzone ‘e Margherita», «E aspettammo», «Stasera ‘o puorto ‘e Napule», «Chisto è ‘o vapore», «Emigrante», «Jammo addo’», «Cuncetti’», «Bammenella» e «Oje Ninno».

Massimo Ranieri, come sempre brillante e versatile, è il fulcro autentico della rappresentazione. Ma appena dietro di lui spicca un bravissimo Ernesto Lama, acclamato anch’egli dal pubblico a fine serata. Con loro in scena Angela De Matteo, Gaia Bassi, Roberto Bani, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Antonio Speranza e Francesca Ciardiello. L’orchestrina di sei elementi è diretta da Ciro Cascina. Le elaborazioni e le ricerche musicali sono di Pasquale Scialò, scene e costumi di Lorenzo Cutuli.
  
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sabato 3 dicembre 2016

L’irresistibile Don Rodrigo Buccirosso al Cilea di Napoli

carlo buccirosso il divorzio dei compromessi sposi
Il titolo dello spettacolo di Carlo Buccirosso, in scena in questi giorni al teatro Cilea di Napoli, poteva lasciar immaginare un sequel de “I compromessi sposi”. Così si chiamava la parodia del romanzo di Manzoni che lo stesso attore e regista portò sul palcoscenico nel lontano 2006, sempre con una produzione firmata Ente Teatro Cronaca. Invece, “Il divorzio dei compromessi sposi” ne è un’edizione riveduta e leggermente corretta, con un cast diverso. Gli ingredienti più efficaci restano più o meno gli stessi di dieci anni fa. Innanzitutto il grande ritmo che il Buccirosso regista imprime a questo ben confezionato incastro di recitato, balli e canti. Poi la grande varietà di accenti e inflessioni italiane con cui parlano gli attori, le gag incentrate su un personaggio di Don Rodrigo che il protagonista rende irresistibile, gli accenni qua e là ad una satira sottile che tocca temi attuali (vedi i tronisti) ed il talento di cantanti, ballerini e coreografa (Rita Pivano). Funzionano anche le canzoni moderne e meno moderne il cui testo è stato riscritto e adattato alle esigenze della narrazione, da Renato Zero a De Andrè, passando da Charles Aznavour, alcuni canzoni classiche partenopee, Pino Daniele, Massimo Ranieri e Laura Pausini. Uno dei motori comici sono anche le incursioni nel futuro dei discorsi dei personaggi, che appaiono coscienti di vivere un passato lontano (vedi, ad esempio, situazioni e battute sul selfie e sulla ricezione del cellulare).
  
Alla prima grande riscontro da parte del pubblico che ride, si diverte e acclama il mattatore Buccirosso a fine spettacolo. Assieme a lui in scena un cast davvero notevole: attori navigati come Veronica Mazza (che sostituisce, rispetto alla passata edizione, Rosalia Porcaro), Gino Monteleone, la polivalente Monica Assante Di Tatisso, Peppe Miale e Antonio Pennarella; altri più giovani ma facenti parte della scuderia Buccirosso da anni, come Claudafederica Petrella, Giordano Bassetti e Giuseppe Ansaldi; un gran bell’ensemble composto dalle splendide voci di Alessandra Calamassi ed Elvira Zingone, Alessia Di Maio, Sergio Cunto, Mauro De Palma e Giancarlo Grosso. Le musiche sono di Diego Perris, le scene di Gilda Cerullo e i costumi di Maria Pennacchio.
Cristiano Esposito

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sabato 26 novembre 2016

“Non ti pago”: l’ultima regia di Luca De Filippo al Diana di Napoli

Ad un anno dalla scomparsa di Luca De Filippo la sua compagnia torna a Napoli con l’ultima commedia a cui aveva lavorato come regista e attore. “Non ti pago” fu scritta nel 1940 da Eduardo, che la definì “molto comica, secondo me la più tragica che io abbia mai scritto". E la comicità riempie molti momenti della rappresentazione, grazie anche al gran ritmo impressole e all’affiatamento dei valenti attori, tutti perfettamente in parte. Ma la commozione riemerge ancora con prepotenza al momento degli applausi finali, in platea e sugli sguardi dei protagonisti in palcoscenico.

C’è molta Napoli in “Non ti pago”: il gioco del lotto è assoluto protagonista, con il rapporto con l’aldilà e la scaramanzia alle sue spalle. E ci sono, come sempre in Eduardo, i rapporti umani, specialmente quelli familiari. Gianfelice Imparato è un Ferdinando Quagliuolo che domina la scena mostrandosi in bilico tra la follia, la goffaggine e l’insicurezza. Gli tiene testa un’incalzante Carolina Rosi, lo supporta un esilarante Nicola Di Pinto. Ma val la pena citare la compagnia al completo: Carmen Annibale, Viola Forestiero, Massimo De Matteo, Paola Fulciniti, Federica Altamura, Andrea Cioffi (che riesce a dar ottima mostra di sé anche in un ruolo secondario), Gianni Cannavacciuolo e Giovanni Allocca (interprete di un esilarante avvocato Strumillo).

L’agile regia di Luca De Filippo conserva intatta la perfezione di un meccanismo drammaturgico datato ma ancora fresco e godibile (quanti al giorno d’oggi continuano a rovinarsi col gioco?). E straordinaria è la leggerezza con cui questa pièce mostra un inquietante ritratto della società. Essenziali ed efficaci nel rappresentare l’atmosfera tra sogno e realtà sono le scene di Gianmaurizio Fercioni, dominate da un cielo nuvoloso da cui estrapolare visioni vincenti. I costumi sono di Silvia Polidori, le musiche di Nicola Piovani e le luci di Stefano Stacchini.

Cristiano Esposito

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sabato 29 ottobre 2016

La Napoli di Federico Salvatore al Cilea di Napoli in “Sono apparso a San Gennaro”

Federico Salvatore porta in scena la sua Napoli e alcuni dei suoi successi maggiori, canzoni per la prima volta  sceneggiate e interpretate perlopiù da altri attori. “Sono apparso a San Gennaro”, che apre il cartellone del Cilea del direttore artistico Biagio Izzo, è quasi un musical, che alterna prosa,  esecuzioni dal vivo e playback coreografati. Può contare sull’apporti di validissimi attori come Oscarino Di Maio e Lello Giulivo (esilaranti pescatori dall’accento puteolano), Patrizia Spinosi e Francesco Viglietti. La scena rappresenta una piazza napoletana vicina al porto ai giorni nostri, abitata da personaggi veraci e pittoreschi come il diverso, il pescivendolo, la barista, il cameriere, il cravattaro e il padre di famiglia in difficoltà economiche.

Entrano nella narrazione alcuni brani di Federico Salvatore come “Incidente al Vomero”, “Ninna nanna 2”, “Babbo è avvilito”, “Nun pozzo parlà”, “Tarantella all’acqua pazza”, “Il monumento”. Uno dei momenti migliori vede il bravissimo Francesco Viglietti interpretare “Vennimm’ammore”, nei panni di un trans. Il finale è affidato all’inedita “Sono apparso a San Gennaro”, che presta il titolo alla rappresentazione e incita il popolo napoletano a rimboccarsi le maniche. Perché è proprio quest’ultimo ad apparire al Santo e non viceversa, come sostiene il protagonista.
 

Federico Salvatore, che pure da diversi anni ha cambiato registro e ha provato a proporre al pubblico contenuti diversi e maggiormente di spessore, sceglie di rappresentare un mix del vecchio e del nuovo corso, equilibrando leggerezza e riflessioni sociali. È lo stesso lavoro che ha cercato di fare il regista Bruno Garofalo, tra bozzettismo e satira. Notevoli i costumi di Maria Grazia Nicotra, che includono simboli partenopei come la tombola ed alcune carte da gioco. L’opera corale appare una pièce spensierata e discretamente riuscita, in cui Salvatore assieme al coautore Mario Brancaccio (anch’egli in scena) strappa risate ma non punge eccessivamente la coscienza degli spettatori. Risaltano i colori, le voci, la vivacità e la lingua napoletana.
Cristiano Esposito
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sabato 7 maggio 2016

“Io e Napoli” al teatro Diana: Gino Rivieccio, un napoletano verace con garbo e orgoglio

E’ proprio il Gino Rivieccio che t’aspetti quello di “Io e Napoli”, spettacolo che chiude il cartellone 2015-2016 del teatro Diana di Napoli. Poliedricità, notevole ed elegante presenza scenica e comicità garbata, acuta, che cerca di scavare almeno un minimo in profondità, cosa che oggi si verifica sempre meno. Diverse battute posseggono la struttura delle classiche barzellette ma appaiono funzionali a raccontare vizi e virtù di Napoli. Il rapporto di Rivieccio con la città è in fin dei conti al centro di tutta la rappresentazione, che si presenta come un contenitore di cose di diversa natura proprio come l’opera dello scultore Lello Esposito che campeggia centralmente davanti al fondale. Una testa di San Gennaro con il corpo a forma di corno, un’insolita armonia della convivenza tra sacro e profano. Un modo efficace di raccontare semplicemente con un’immagine la città, i suoi abitanti e la relativa cultura. Rivieccio si prodiga in monologhi comici, recita poesie, dà vita ai suoi personaggi storici (un Bassolino deluso per la mancata ricandidatura a sindaco di Napoli, il tassista, il cameriere), canta note antiche e più moderne insieme alla straordinaria Fiorenza Calogero (si passa da Libero Bovio a Pino Daniele con gran disinvoltura), accompagnato dal pianoforte di quell’Antonello Cascone già arrangiatore di Andrea Bocelli. Uno spettacolo godibilissimo, quasi fuori dal suo tempo, che aggira efficacemente la retorica e trasmette l’orgoglio di essere napoletano del protagonista. Perché, in fondo, “Napoli è uno stato d’animo”. I testi sono di Gino Rivieccio e Gustavo Verde, la regia è di Giancarlo Drillo.  
 
Cristiano Esposito
 
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martedì 19 aprile 2016

“Tutti per uno uno per Titty”: la Bolignano mattatrice assoluta al Cilea di Napoli

maria bolignano teatro napoli made in sud
Il monologo di Maria Bolignano che apre “Tutti per uno uno per Titty” fa già presagire ciò che lo spettacolo rappresenterà: quasi un pretesto per dar libero sfogo alla verve colorita e alle peculiarità dell’attrice comica di “Made in sud”. Dopo “Caburlesc”, insomma, il registro cambia ma non troppo. Torna il personaggio della donna matura e single, non particolarmente desiderata e che qui arriva a parlare con gli elettrodomestici dandogli un nome. Tornano alcune delle battute migliori del repertorio della Bolignano e i caratteri della colf ucraina, della terzignese e della milf (portata al successo in tv su "Made in sud"). A rendere possibile la compresenza di tutte queste cose è un’idea di commedia partorita da Alessandro Siani e sviluppata dalla stessa protagonista. La Titty del titolo è una vivace single di oltre quarant’anni che, con l’ausilio dell’amica Antonia, prova a conquistare il suo affascinante vicino di casa Sebastiano (Maurizio Aiello) impersonando diverse tipologie di donne. Il lieto fine telefonato non condiziona la soddisfazione del pubblico. Le risate sono numerose nonostante qualche battuta un po’ forzata, mentre la Bolignano si conferma un travolgente animale da palcoscenico grazie anche alla regia di Gianluca Ansanelli che imprime un buon ritmo per consentirle di esprimersi al meglio. Si prodiga brillantemente pure in un tango con Maurizio Aiello, la cui interpretazione risulta un po’ troppo impostata e bozzettistica. Ben figurano anche la bravissima Giuseppina Cervizzi e il versatile Marco Critelli. Presente solo con la sua voce una Nunzia Schiano che comunque colpisce nel segno. Meritano una menzione le musiche originali di Bosnia e Gallo, per una produzione che globalmente offre un buon intrattenimento.

Cristiano Esposito

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sabato 9 aprile 2016

“Ancora?!”: Paolantoni e Sarcinelli di nuovo insieme sul palco del Cilea di Napoli

Francesco Paolantoni e Stefano Sarcinelli tornano a incrociare le loro strade di artisti e ci ricordano come e perché a metà anni ‘90 arrivarono, insieme a Maurizio Casagrande, a vincere un Telegatto con la napoletanissima trasmissione radiofonica “A tutti coloro”.  “Ancora?!” è perlopiù un collage di sketch e personaggi storici del duo, risalenti anche a trent’anni fa, come nel caso degli esilaranti provini. A fare da collante la musica eseguita dal vivo da Ugo Gangheri (chitarra acustica e voce), Antonio De Carmine (chitarra elettrica) e Carletto Di Gennaro (percussioni).

Il mattatore è in primis Paolantoni, coadiuvato in maniera sempre efficace dal suo compare Sarcinelli. Manca Robertino ma ritroviamo il mago Spak, il personaggio stralunato che domanda continuamente “Scusa ma tu suoni?”, Vanessa, De Lollis e Gino Ramaglia. Si gioca anche sui classici, come quando i due impersonano Romeo e Mercuzio o rileggono la Divina Commedia. Sempre con leggerezza e garbo, anche quando il meccanismo comico è innescato dal doppio senso. Un elemento centrale è senz’altro l’intesa e la complementarietà tra Paolantoni e Sarcinelli, con il primo che tocca a più riprese il secondo come faceva Totò con Peppino. Fino ad arrivare alla citazione diretta ed esplicita del film “Totò, Peppino e i fuorilegge”. Si finisce con una serie di battute secche alternate dai due e con il pubblico, in buona parte cresciuto con quei personaggi e con quel tipo di comicità ormai sempre più raro, che applaude calorosamente e soddisfatto a questa reunion, basata più sul gusto di ritrovarsi in scena che su un’idea o un testo particolare.

Cristiano Esposito
 
   
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sabato 2 aprile 2016

Intrattenimento di qualità a bordo della “Buena Onda”: Papaleo-Esposito al Diana di Napoli

“Buena Onda”, produzione del Nuovo Teatro di Marco Balsamo, è innanzitutto uno spettacolo che trasforma efficacemente la sala teatrale nella pancia di una nave da crociera. E lo fa senza suggestioni indotte da semplicistici effetti visivi o sonori, soltanto attraverso un mood e un’arte capaci di far volare fino all’oceano l’immaginazione degli spettatori. Rocco Papaleo e Giovanni Esposito (che prima dello spettacolo accolgono in sala le persone che man mano prendono posto) si dimostrano eccellenti affabulatori e narratori di storie umane tra duetti, monologhi e canzoni, accompagnati da Francesco Accardo alla chitarra, Jerry Accardo alle percussioni, Guerino Rondolone al contrabbasso e Arturo Valiante al pianoforte. Papaleo impersona Gegè Cristofori, malinconico cantante che lavora sulla nave; Esposito è invece Ruggero Chiaromonte, il comandante della “Buena Onda” che pretenderebbe dal primo una maggiore spensieratezza, anche perché “il jazz è inopportuno”. Ma, si sa, su una nave da crociera è sempre festa e a Chiaramonte mancano i giorni feriali: ecco che anche in lui esce fuori alla distanza una certa mestizia. Un ruolo importante lo gioca poi il pubblico, che viene a più riprese coinvolto nella narrazione e rappresenta i viaggiatori della nave. Il meccanismo metateatrale arriva al paradosso di frenare e raffreddare il calore della platea, quando questa esce fuori dalla parte assegnatagli.

Scritto da Valter Lupo, Valerio Vestoso, Giovanni Esposito e Rocco Papaleo, “Buena Onda” alimenta ancora una volta il tòpos del viaggio tanto caro a quest’ultimo. Una finzione decisamente riuscita, percorsa da un intrattenimento di qualità. Che mira a far ridere e a trasmettere qualche emozione, con una spruzzata di malinconia sempre pronta a far capolino dietro l’angolo. Proprio come accade nel film “Onda su onda”, il terzo lungometraggio diretto da Rocco Papaleo uscito nei cinema lo scorso febbraio, in cui ritroviamo il cantante Gegè Cristofori. Ritornando allo spettacolo, la regia di Valter Lupo accosta i vari sketch (da segnalare la rielaborazione di “Acqua minerale” del grande Achille Campanile) salvaguardando il ritmo e la coerenza di una messa in scena che il pubblico mostra di gradire fino al punto di accettare di trasformarsi in foca nel bis finale.

Cristiano Esposito

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sabato 12 marzo 2016

I tanti lati dell’essere umano: Ale e Franz al Cilea di Napoli

Sono sempre loro oltre vent’anni dopo, Ale e Franz. Giochi di parole, nonsense e surrealità racchiusi da una cornice di normalità. Il loro ultimo spettacolo, “Tanti lati - Latitanti”, è stato scritto in collaborazione con Antonio De Santis per la regia di Alberto Ferrari e sta girando i teatri di tutta Italia dallo scorso novembre. Il Cilea di Napoli ha risposto con un buon calore a questo collage di sketch incentrati sulla comunicazione e sulle relazioni interpersonali. Trovano spazio, tra l’altro, argomenti come l’omosessualità, la religiosità, la politica e la vecchiaia (esilarante il pezzo in cui i due protagonisti vestono i panni di due anziani). Il tutto per esplorare i tanti lati dell’essere umano, partendo dallo spunto fornito da alcuni scritti dei pazienti di un ex ospedale psichiatrico milanese. Tanti lati, visti da angolazioni diverse e insolite. Tra una poesia di Alda Merini, le note di “Destra-Sinistra” di Giorgio Gaber e la rivisitazione di uno sketch con Walter Chiari. L’essenzialità della scena, con solo un albero quasi tutto spoglio, un fondale nero, una luna che scende dalla graticcia e poche videoproiezioni, lascia libero sfogo all’incalzare dei dialoghi del duo comico milanese. Nessun costume particolare, tranne quando Franz dà vita alla statua di Sant’Antonio e a quella di San Michele; maggiore voce in capitolo invece per il disegno luci. I tanti lati vengono fuori anche grazie al trascorrere del tempo: la coppia del primo sketch si rincontra dopo vent’anni, così come Palmiro e Fidel, che si rivedono fuori ad un seggio elettorale. Il tentativo è quello di miscelare poesia e comicità, lasciando qualche sparuto margine all’improvvisazione. E risulta riuscito in buona parte, grazie al ritmo sostenuto ed ai testi che favoriscono una paradossale immedesimazione della platea con una decina di personaggi strambi ma molto umani.

Cristiano Esposito
    
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lunedì 15 febbraio 2016

Lo Shakespeare di Cappuccio stavolta cala gli assi Danieli-Arena

Il “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare riscritto da Ruggero Cappuccio ha tra i suoi principali punti di forza una coppia di pezzi da novanta a ricoprire il ruolo di protagonisti. Isa Danieli e Lello Arena, infatti, incantano il pubblico del teatro San Ferdinando di Napoli con maestria e grandi tempi comici. Sì, perché l’ironia è una componente centrale in questa messa in scena che trasferisce Titania e Oberon in un antico palazzo napoletano. I due all’apertura del sipario si trovano a letto e battibeccano in maniera esilarante alternando l’italiano aulico e antico, l’inglese e il dialetto partenopeo più verace. In casa loro ospitano un bizzarro carrozzone composto da elfi-clown, attori, pupazzi, marionette e musicisti, che tra sogno, favola, finzione e realtà diverte malinconicamente.

Uno spettacolo denso, impegnativo nei suoi diversi cambi di registro, nel suo mix di intrecci, dal linguaggio affascinante, che analizza Shakespeare e non lo tradisce. La regia di Claudio Di Palma valorizza il magnetismo della Danieli e di Arena ma concede allo stesso tempo il giusto risalto ai valenti Fabrizio Vona, Renato De Simone, Enzo Mirone, Rossella Pugliese e Antonella Romano. Contribuiscono fortemente a calare lo spettatore nell’atmosfera onirica da cui è partito Cappuccio i costumi di Annamaria Morelli, le scene di Luigi Ferrigno e le musiche di Massimiliano Sacchi. Una delle battute finali che Arena pronuncia sembra proprio risvegliare tutti i presenti: “siamo noi che ci siamo sognati a loro o sono loro che si sono sognati a noi?”. Abbiamo da poco assistito al momento in cui da Titania nasce la marionetta di Pollicinello, tanto ambita da Oberon. Poi il sogno si interrompe bruscamente e il carrozzone apprende mestamente che è arrivato il momento di chiudere. Ha avuto però il tempo necessario per ricordarci che, come sosteneva Carl Jung, solo una persona che dà ascolto ai propri sogni si realizza completamente.

Cristiano Esposito

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sabato 6 febbraio 2016

"Horror Comedy": risate e paura nel ritorno de I Ditelo Voi a teatro

i ditelo voi made in sud teatro napoli horror comedy“I ditelo voi” si lasciano alle spalle i tormentoni dei “Gomorroidi” e voltano pagina, con questa “Horror Comedy – La comedia de los orrores” scritta e diretta insieme a Francesco Prisco. Un ritorno a teatro che funziona e che intende miscelare il genere horror con la comicità più vicina al trio, ancora sulla cresta dell’onda a oltre vent’anni dalla formazione. La storia è quella di tre amici che vincono un weekend presso una villa del ‘700, vacanza premio che ben presto si rivelerà un incubo ad occhi aperti a causa di un'inquietante presenza paranormale. Uno di loro, interpretato da Raffaele Ferrante, ha due cuori, un'altro (Francesco De Fraia) è tormentato da una moglie gelosa e fedifraga e il terzo (Mimmo Manfredi) ha la mania dei concorsi a premi. Tra parodia e diversi richiami al cinema horror, con “L’esorcista” e “Saw – L’enigmista” in prima fila, i tre tengono bene il palco e si avvalgono di due valenti attrici quali Rita Corrado e Federica Totaro.

Al di là delle situazioni e delle battute, con qualche gioco di parole ogni tanto un po’ forzato, il vero motore comico di tutto è certamente Mimmo Manfredi, capace di trascinare il pubblico con le sue tirate vistose ed esilaranti. Il gran lavoro di luci (Stefano Lattavo), scene (Roberto Crea), audio (Peppe Sabatino) e semplici effetti speciali avvicina efficacemente la risata alla suspense. Da segnalare la voce di Maurizio Casagrande che la platea può riconoscere in alcuni frangenti. Uno spettacolo ben curato in cui, come era nelle intenzioni di chi lo ha messo in piedi, si ride e talvolta può capitare di saltare sulla poltroncina.


Cristiano Esposito

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venerdì 29 gennaio 2016

Rubini e il peso dell’amore e della sincerità ai giorni nostri

sergio rubini isabella ragonese maria pia calzone fabrizio bentivoglio provando dobbiamo parlare teatro
Lo spettacolo in scena in questi giorni al Diana di Napoli, scritto da Sergio Rubini, Carla Cavalluzzi e Diego De Silva, nasce per il teatro ed è stato in origine una prova aperta al pubblico. E’ diventato poi un film uscito nelle sale lo scorso novembre e adesso torna sui palcoscenici di tutta Italia. “Provando...Dobbiamo parlare” è un testo vivace, moderno, con qualche influenza francese, semplice ma pieno di guizzi intelligenti e interpretato da quattro valenti attori. Due coppie di amici diversissimi tra loro cacciano gli scheletri dall’armadio in una notte di litigi, confessioni, tradimenti, lacrime, scoppi d’ira e risate. All’alba la coppia che sembrava sfaldata in partenza si ricompatta, mentre l’altra, quella che pareva governata soltanto dall’amore, mostra insospettabili crepe e fa supporre il suo crollo definitivo nel finale. Il mondo animale che circonda i quattro osserva e punta il dito beffardo sulle piccolezze umane: così fanno un gatto invisibile che ogni tanto fa agitare i protagonisti ed un pesce rosso che commenta la vicenda con una saggezza al di sopra delle parti.

La regia di Sergio Rubini gioca sul metateatro per piccoli frangenti, ma la validità della rappresentazione potrebbe farne tranquillamente a meno senza perderci niente. Nulla di particolarmente originale ma un buon ritmo, quattro personaggi disegnati e scavati con sapienza, un monumentale Fabrizio Bentivoglio e ottime prove anche di Sergio Rubini, Maria Pia Calzone e Isabella Ragonese. L’appartamento romano con terrazza ci viene riportato da Luca Gobbi senza separazione tra le varie stanze, con un velario trasparente e gli ambienti illuminati singolarmente di volta in volta. In questa commedia trovano spazio tante cose: la politica, l’amore, la sincerità, l’ipocrisia, l’amarezza della verità, l’arte, la borghesia e l’intellettualismo. L’amore basta sempre e comunque? E quanto è indispensabile e opportuna la sincerità a tutti i costi? Le risposte che dà la messa in scena sembrano riscontrare il gradimento del pubblico, che si ritrova in molto di ciò che vede e ride tanto. E probabilmente ride tanto, non sempre in maniera consapevole, anche di sé stesso.

Cristiano Esposito
 
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giovedì 21 gennaio 2016

Il paradosso dei nostri tempi: Gospodin-Santamaria sbarca al Bellini di Napoli

Gospodin è un personaggio moderno che guarda il mondo sottosopra, così come troviamo Claudio Santamaria all’apertura del sipario, disteso con la testa penzolante. Nei suoi dialoghi con Federica Santoro scorgiamo l’incomunicabilità dei nostri tempi, dove ognuno risponde all’altro parlando di cose diverse perché non lo stava ascoltando. Il tormentone dispregiativo verso i “borghesucci” manifesta la sua insofferenza per il capitalismo. Ma non è certo facile vivere davvero in maniera anticonvenzionale: Gospodin prova a evitare i marciapiedi ma ben presto è costretto a fare dietrofront per non finire travolto dalle auto. Elabora allora un suo dogma, eliminando dalla sua vita i soldi, le proprietà, le partenze e le decisioni. Vive di baratti per sottrarsi al sistema, possiede una valigetta piena di denaro che non utilizza e non regala ai suoi conoscenti, pur non riuscendo in nessuna maniera a disfarsene. Arriva poi all’assurdo dell’assurdo, che riesce a spiegare con le sue motivazioni: in galera trova tutto quello che cercava, la libertà che inseguiva da tempo, realizza i principi che sembrava tanto difficile applicare all’esterno. Gospodin è un uomo libero in galera: si tratta pur sempre di un paradosso spettacolare, ma capace di instillare nella mente degli spettatori qualche riflessione importante da un punto di vista originale.

Il testo, dell’autore tedesco Philipp Löhle, scandaglia in maniera corrosiva alcune facce della nostra società e assieme al protagonista tragicomico ci presenta altri personaggi bizzarri, resi brillantemente anche da Marcello Prayer. Le scenografie in graphic animation e videomapping di Lorenzo Bruno e Alessandra Solimene vengono sfruttate con alcune brillanti interazioni di Gospodin e ci restituiscono efficacemente una metropoli europea qualunque. Il tutto in un racconto simbolico ma che sa parlare un po’ di ognuno di noi, semplice, col quale si ride e si pensa. E in cui Santamaria si dimostra pienamente a suo agio, sfoggiando diverse sfumature interessanti. La regia di Giorgio Barberio Corsetti imprime un buon ritmo e la giusta misura ai tanti quadri brevi che si susseguono. Le scene sono sue e di Massimo Troncanetti, i costumi di Francesco Esposito, le luci di Gianluca Cappelletti.

Cristiano Esposito

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domenica 17 gennaio 2016

“Servo per due”: Favino tra Goldoni, Fellini e gli anni ‘30

Una riscrittura ibrida tra farsa, commedia dell’arte, slapstick, stand-up comedy, varietà e musical con al centro quanta più energia possibile. E’ questo e molto altro “Servo per due”, spettacolo prodotto da Gli Ipocriti e dal gruppo Danny Rose, in scena in questi giorni al Diana di Napoli. Un’opera che nasce dalla penna di Carlo Goldoni ("Il servitore di due padroni") nel lontano 1745 per l’attore veneto Antonio Sacco, sulla falsariga del copione francese “Arlequin valet de deux maitres”. E che è stata recentemente riadattata dall’inglese Richard Bean, debuttando al National Theatre di Londra nel 2011 col titolo di “One man, two guvnors”. Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Marit Nissen e Simonetta Solder si sono basati su quest’ultima versione, scegliendo di ambientare la vicenda a Rimini nel 1936. Un Goldoni un po’ alla lontana, insomma, non certo quello dell’Arlecchino di Strehler (“Arlecchino servitore di due padroni”). Il protagonista (Favino) qui si chiama Pippo (solo il personaggio di Clarice mantiene il suo nome originario) e di quella maschera conserva soprattutto le movenze e i gesti tradizionali. Il suo alter ego Pasquale è napoletano così come alcuni stilemi della rappresentazione. Di uno spettacolo del quale è sacrosanto non svelare niente vi diciamo soltanto che la trama si alimenta degli equivoci cui Pippo va incontro trovandosi a dover servire due padroni. Equivoci che partono fin dalla prima battuta che Favino recita davanti ad una foto di Mussolini. Irriverente e stupido, Pippo dovrà prima pensare a vincere la fame e poi a conquistare il cuore di una vivace donzella. Il tutto inframmezzato dalle godibili canzonette anni ‘30 eseguite dal vivo dal quartetto “Musica da ripostiglio”.

Favino, amatissimo dal pubblico, è messo in grande risalto ma non siamo di fronte ad uno one man show; non è sempre presente in scena e ogni attore ha un suo spazio adeguato. Interagisce notevolmente con il pubblico, il quale entra nella narrazione e nel processo creativo (ma la quarta parete viene abbattuta ripetutamente anche da altri attori), improvvisa e si rivela un ottimo “Arlecchino jazz”, come l’ha efficacemente definito qualcuno. La regia firmata da lui insieme a Sassanelli ha inteso dar vita ad uno spettacolo comico, popolare e leggero ma con qualche richiamo di un certo livello. Si spazia infatti da Gigi D’Alessio e Fellini, con la nave Rex di “Amarcord” (lungometraggio ambientato tra il 1932 e il 1933) a trasportare il suo carico di nostalgia. C’è Wanda Osiris, il trio Lescano e c’è spazio anche per inserire, negli anni dell’Italia fascista, i “finocchi” e la bisessualità dichiarata di Rachele. Le due ore abbondanti che a qualcuno sono sembrate eccessive scivolano in realtà abbastanza lisce, anche se la narrazione risulta più debole nella seconda parte. Una produzione di qualità e quantità che conta su diciassette attori e quattro musicisti. In scena con Favino gli ottimi Anna Ferzetti, Bruno Armando, Fabrizia Sacchi e Paolo Sassanelli.

Cristiano Esposito

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giovedì 7 gennaio 2016

“La parola canta”: Toni e Peppe Servillo e quel teatro che si fa musica

In questo loro ultimo lavoro i fratelli Servillo riescono davvero a far cantare la parola, come indica il titolo dello spettacolo. Ed è una parola inscindibile dalla musica del virtuosissimo Solis String Quartet, una parola che canta (e talvolta urla) Napoli, la sua arte autentica, il suo dolore lacerante, la sua vita incontenibile, la sua miseria e il suo splendore inarrivabili. Ne “La parola canta”, scrive Toni Servillo, “il teatro si fa musica e la musica si fa teatro” e autori di ogni epoca (Eduardo De Filippo, Raffaele Viviani, E. A. Mario, Libero Bovio, Enzo Moscato, Mimmo Borrelli, Michele Sovente e tanti altri) incrociano le loro opere, che appaiono come un unicum verace e pulsante autentico sangue partenopeo. Peppe e Toni Servillo si alternano nell’omaggio ad una Napoli che ha alimentato la loro creatività e la loro capacità, ravvisabile anche in questo caso, di far vedere nitidamente alla platea ciò che essi raccontano soltanto a parole. Peppe canta quasi sempre con un vibrato accentuato, impiega una grande mimica e interpreta i pezzi facendoli vivere nel profondo di chi ascolta. Toni spazia in una gamma di toni ricchissima: inveisce, impreca, urla, sussurra, parla le canzoni e canta le parole, recita tutto d’un fiato e sfoggia maestria di tempi comici quando arriva il turno del poemetto di Eduardo “Vincenzo De Pretore”.

Le voci dei due illustri fratelli si sovrappongono per la prima volta sul finale, in “Dove sta Zazà”, replicando poi nel corso dei generosi bis che terminano con il brano più antico proposto in questa rappresentazione: “Te voglio bene assaje”, scritto da un ignoto nel 1839. Lunghi applausi a scena aperta, oltre che per i due protagonisti, anche per Vincenzo Di Donna e Luigi De Maio al violino, Gerardo Morrone alla viola e Antonio Di Francia al violoncello. La tradizione partenopea viene originalmente miscelata e riscritta anche da loro, attraverso un suono che sembra provenire da una ben più nutrita orchestra. Un teatro popolare ma colto e di elevata qualità, che fa risplendere in maniera accecante la luce meravigliosa di una letteratura, senza téma di retorica, unica al mondo.

Cristiano Esposito
 
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