venerdì 27 marzo 2015

“Miseria e nobiltà” secondo Benedetto Casillo, nel pieno rispetto della tradizione

Miseria e nobiltà Benedetto Casillo Teatro Cilea Napoli
L’essenziale manifesto con i nomi degli interpreti su sfondo bianco probabilmente dice già molto di questa “Miseria e nobiltà”, messa in scena da Benedetto Casillo in questi giorni al teatro Cilea di Napoli. L’ossequio per una storica e perfetta macchina comica e per il suo autore, Eduardo Scarpetta; la volontà di metterla in scena con impegno ma senza rileggerla né innovarla. Lo stesso protagonista e regista ha dichiarato di aver concentrato il suo adattamento attorno alle battute più sostanziali e familiari del testo, curandosi principalmente di rendere più fluido il linguaggio ottocentesco.

Superfluo riportare ennesimamente la trama della commedia scritta da Scarpetta nel 1888, trasposta poi nel celebre lungometraggio del 1954 con Totò ed Enzo Turco diretti da Mario Mattoli. A riprova di ciò, diverse volte il pubblico in sala è più veloce degli attori in scena e anticipa le battute celebri (“Desisti!”, “Qui si mangia pane e veleno!”). Per questa ragione e per la mancanza di sorprese nella storia occorrerebbe a tratti imprimere un ritmo più serrato, ma il pregio della regia di Casillo è di rendere la rappresentazione corale al punto di ritrovarsi egli stesso defilato nel primo atto, durante il quale incide poco e si limita a stringate battute comiche. Spicca su tutti una grande Maria Del Monte nel ruolo di Concetta, che a qualcuno ricorda Luisa Conte, bravissima nelle controscene e a dare verve allo spettacolo, ringraziamenti
Miseria e nobiltà Benedetto Casillo Teatro Cilea Napolifinali inclusi. Piacevole sorpresa è Luca Gallone, che interpreta Eugenio Favetti; ottima la riconferma della presenza scenica di Gennaro Morrone (Gaetano Semmolone). Accanto a loro Marco Lanzuise, Ingrid Sansone, Enza Barra, Angelo Murano, Giuseppe Fiscariello, Davide Iengo, Ettore Massa, Luciano Piccolo, Patrizia Capuano, Manila Aiello e Matteo Salsano. Notevoli le scene del secondo atto firmate “Esseventi”, ben realizzati i costumi di Isa Di Lena. Si ride grazie ad una grande tradizione, su meccanismi comici che raramente toppano: fame, travestimenti, scambi di identità, storpiature linguistiche e litigi vistosi. In scena fino a domenica 29 marzo.

Cristiano Esposito

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mercoledì 25 marzo 2015

Le "Orchidee" di Delbono tra dolore, amore universale e la scomparsa della bellezza

pippo delbono orchidee
Pippo Delbono torna al teatro Bellini di Napoli con “Orchidee”, la sua ultima, intensa creazione che parte dal dolore per la perdita della madre per arrivare ad affrontare il tema dell’amore universale. Ogni quadro è un’istantanea scattata a questo mondo e a questo tempo senza amore né bellezza (“In questo mondo non riconosco più la bellezza, perché nascosta ai miei occhi”), dove è difficile discernere il vero dal finto come accade con le orchidee. Uno spettacolo fuori dalle righe, non lineare, simile ad un’opera cubista, che esprime la confusione e lo straniamento di chi non crede più alla politica e alle rivoluzioni. Delbono si ribella all’assenza di cultura, ad un teatro che ormai vede finto, morto; fa dire ad una sua attrice: “Il nostro regista non ama più il teatro, cerca la verità”. Sogna una platea che si lascia andare ad un ballo e riesce sia a dimostrare l’immobilità del pubblico sia a fargli accennare poi una danza sulle note di Enzo Avitabile, presente in sala per questa prima napoletana. E nonostante tutto non può fare a meno di scrivere d’amore, di raccontare nuove storie per provare a riempire quel vuoto. 

“Orchidee” è un insieme disordinato di numeri con al centro rielaborazioni da grandi classici di autori come Shakespeare e Cechov, che qui assumono nuovi significati.  Delbono parla alle spalle dello spiazzato pubblico dalla sua postazione in fondo alla platea, e lo fa fin dall’annuncio di inizio spettacolo. Quando salirà sul palco non parlerà mai, si limiterà a danzare, a dimenarsi, per tornare poi a sussurrare e a respirare nel microfono soltanto dal fondo della sala. Tratta dell’omosessualità e dell’emarginazione, del rapporto col corpo e con i corpi altrui. Anche la disabilità è molto presente, con un attore down e con Bobò, sordomuto analfabeta fatto uscire dal manicomio di Aversa dopo un internamento durato 45 anni. Protagonista già di una decina di spettacoli, di sette film e di un’installazione in quel di Parigi, a 78 anni è a tutti gli effetti un attore di grande espressività e poesia. Tra i nudi integrali e
pippo delbono orchidee
la proiezione degli ultimi istanti di vita della madre, Delbono intende sconvolgere non per far scalpore ma per avvicinarsi al pubblico e alla realtà, spesso fatta di dolore. Magari non ci riesce proprio con tutti gli spettatori ma il suo resta un teatro da vivere più che da capire fino in fondo o raccontare, per abbandonarsi ad un’esperienza inclassificabile.  “Questo mondo fa schifo ma è l’unico posto dove stare”, e Delbono vuole rimanerci senza farsi contaminare, ribellandosi, provocando con la verità. Facendo come le orchidee, che si aprono al mondo in bellezza e si chiudono a quello stesso mondo in segreto.


Cristiano Esposito
 
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martedì 24 marzo 2015

“La scuola” di Silvio Orlando al Diana di Napoli e quella mosca che continua a ronzare

Ventitré anni fa c’erano già Silvio Orlando come attore protagonista e Daniele Luchetti come regista a guidare il debutto dello spettacolo teatrale “Sottobanco”, tratto dai libri di Domenico Starnone. Dopo il grande successo nel 1995 arrivò la trasposizione cinematografica, intitolata “La scuola”, proprio come questa nuova messa in scena che vede tra gli interpreti alcuni attori presenti nel film. Di lì scaturì poi un apposito filone di film di ambientazione scolastica. L’istantanea dell’istruzione di allora sembra fotografare perfettamente anche la situazione attuale, con l’urgenza sempre viva di una riforma che salvi i Cardini e compagni di oggi dall’alienazione della “mosca”.

Siamo alla fine dell’anno scolastico, tempo di bilanci e scrutini. I docenti si riuniscono per decidere le sorti degli studenti della quarta D. Lo fanno nella palestra dell’istituto, in quanto già da mesi l’aula professori non è agibile per via di un’infiltrazione d’acqua. Il professor Cozzolino (Silvio Orlando), sembra essere quello più accomodante e pronto a difendere i ragazzi. Il docente ingegnere dal doppio lavoro (Antonio Petrocelli) si preoccupa più che altro di fare il filo alle studentesse, mentre padre Mattozzi (Vittorio Ciorcalo), che insegna religione, non appare per nulla misericordioso e col suo cattivo odore innesca uno dei principali tormentoni comici. La professoressa di storia dell’arte (Maria Laura Rondanini) cerca di accorciare i tempi per correre a preparare la cena; quella di ragioneria (Marina Massironi, che spesso guadagna il centro della scena e detta i tempi con una grande interpretazione) appare nevrotica ma insegue il rigore professionale che si confà al suo compito. Un grande Roberto Nobile impersona il professore di francese, comicamente catastrofista (“Non c’è più nulla di buono a questo mondo!”), il più insofferente nei confronti dei giovani ai quali insegna, che vede come beduini che dovrebbero solo andare a zappare la terra. A tenere le redini di questo consiglio è il preside (Roberto Citran), con aspirazioni da poeta ma in realtà ignorante e incline a favorire il figlio di un professore.

Il caos simboleggiato dal quadro iniziale, con ogni insegnante che vaga per conto suo parlando da solo, ci fa già intuire come verranno disegnati i personaggi che devono giudicare e indirizzare le nuove generazioni. E’ facile ma corrisponde anche al vero sostenere che, oggi come vent’anni fa, la scuola italiana non funziona, anzi, “funziona solo con chi non ne ha bisogno”. Questi docenti in palese difficoltà, che pure hanno vissuto le agitazioni degli anni ’70, appaiono per lunghi tratti quasi delle macchiette surreali, infantili come e più dei ragazzi, inclini ai litigi e al pettegolezzo. Gli scrutini diventano così una stupida guerra di voti, di cinque che sarebbero quattro ma che si possono passare a sei. L’indignazione per l’indisciplina di Cardini si trasforma nella surreale imitazione da parte dei professori della sua “mosca”, che il pubblico sente ronzare in sala a fine rappresentazione e che continua a volare sbattendo contro il vetro delle finestre della scuola, restando prigioniera di un’istituzione inadeguata. Grande prova del cast in una messa in scena comica dalle molteplici venature amare. Il secondo atto, corale, con qualche lungaggine di troppo, non inficia la riuscita di uno spettacolo che diverte e resta nella mente degli spettatori.

Cristiano Esposito
 
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lunedì 23 marzo 2015

"Una pura formalità" al Bellini di Napoli: il proficuo sodalizio Mauri-Sturno continua

Nel buio a sipario chiuso il rumore della pioggia aumenta sempre più di volume; poi si ode uno sparo. Uno scrittore corre sotto la pioggia in un bosco. E' sera, viene portato in un commissariato dalle pareti sbilenche, dove le penne non scrivono, con un orologio senza lancette e strani graffiti sui muri. Un commissario, suo ammiratore, lo trattiene per fargli qualche domanda, la canonica "una pura formalità". Ma in realtà sospetta che egli si sia appena macchiato di un omicidio avvenuto nei paraggi. Lo scrittore nega, si contraddice, parla di una stazione che non esiste, dichiara di non ricordare cosa ha fatto dalle ore 19:00 in poi. La sorprendente agnizione finale risolve alcuni quesiti ma ne pone di nuovi. "Già, e adesso?", chiede lo scrittore nell'ultima battuta sulla soglia del commissariato. Adesso si conclude soltanto la vicenda a cui gli spettatori possono assistere ma tutto non il resto.

Di uno spettacolo così sapientemente costruito come "Una pura formalità", di un testo congegnato per rapire, sorprendere e alimentare la sete di verità del pubblico è meglio non svelare nient'altro. Basti sapere, ma di ciò lo spettatore si accorge dopo poco, che questo commissariato è un luogo onirico e simbolico, posto tra la vita e la morte. All'interno del quale partirà un viaggio in una memoria da riafferrare, tratto dall'omonimo lungometraggio del 1994 di Giuseppe Tornatore, che ottimamente si presta al teatro, adattato e diretto con sapienza da Glauco Mauri. Il quale interpreta con eccezionale misura ed efficacia il commissario, vestito allo stesso tempo di rigore professionale e premura. Roberto Sturno è lo scrittore sempre in scena Onoff, nome omen, la cui memoria si accende e spegne in un'intermittenza lunga quanto l'intera rappresentazione. Non sfigurano i giovani attori Giuseppe NItti, Amedeo D'Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso e Marco Fiore. Le suggestive scene sono di Giuliano Spinelli, che fa piovere acqua vera sul palco, i costumi di Irene Monti, le musiche di Germano Mazzocchetti.

Un thriller che conduce alla scoperta di sé stessi e della propria vita, delle proprie emozioni e fragilità, capace di mantenere sempre la tensione alta con la conseguente e palpabile ammirazione finale del pubblico. Che si porta via a casa residui di riflessioni e interrogativi, segno inequivocabile di aver assistito ad un teatro di buona fattura.

Cristiano Esposito
 
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mercoledì 18 marzo 2015

Il viaggio generazionale di Beppe Severgnini al Diana di Napoli

Il teatro Diana porta a Napoli in data unica l'esordio teatrale di Beppe Severgnini, una delle firme giornalistiche italiane più importanti. Lo spettacolo da lui scritto e diretto, intitolato "La vita è un viaggio", è tratto dal suo libro omonimo del 2014 e da "Italiani di domani", del 2012 (entrambi editi da Rizzoli). La trama racconta l'incontro tra un cinquantenne ed un'attrice teatrale ventottenne, entrambi arrivati ad un bivio della propria vita, bloccati all'aeroporto di Lisbona a causa di uno sciopero. Lui (Beppe Severgnini) sarcastico, pedante e un po' paternalistico sta andando negli Stati Uniti per una conferenza; lei (Marta Isabella Rizi) polemica, sfiduciata e pessimista raggiunge il suo ragazzo in Brasile per rinunciare alla carriera e aprirsi un chiringuito. Inizialmente lei non vuole saperne di attaccare bottone con lui, che continua a sparare domande a raffica e gli sconsiglia di lasciare l'Italia e il teatro. Poi una notte di discussioni costruisce un'amicizia che cambia qualcosa dentro entrambi. E, di conseguenza, nelle loro decisioni. 

Severgnini supera la sua prima prova d'attore con disinvoltura e sorprendente efficacia di tempi ed intonazioni. Fa ricorso ad un gobbo elettronico che consulta con evidenza ogni tanto, ma è pienamente giustificato nel non ritrovarsi una consolidata memoria di teatrante navigato. Superati abbondantemente i cinquant'anni, dice, invece di comprarsi una decappottabile decide di fare appunto l'attore teatrale che incoraggia i giovani sotto il "big blue", il grande aeroplano di carta che domina la scenografia essenziale e che è il simbolo del suo ultimo libro. A loro consiglia vivamente, oltre la resilienza, le quattro "t" di talento, tenacia, tempismo e tolleranza; li stima e tifa per loro anche perché crede che dal loro successo possano guadagnarne anche i meno giovani.  Per questo batte sull'importanza di mescolare generazioni e talenti. Il suo personaggio pensa che alla sua età sia arrivato il momento di cominciare a restituire qualcosa, cita "Napule è" di Pino Daniele e il golfo strizzando l'occhio al pubblico e "Cinquanta sfumature di grigio" (ironizzando). Parla di film, telefilm, libri e musica che possono aiutare a vivere meglio, fa riferimento alla sua esperienza di padre. Il tutto con leggerezza ma anche con profondità.

Il testo, riscritto molte volte dallo stesso Severgnini, viene orchestrato dalla mano di Francesco Brandi in maniera compatta e invisibile, qualità, quest'ultima, tra le più importanti per una regia teatrale. Godibilissime e non convenzionali le musiche chitarra e voce di Elisabetta Spada, alias Kiss & Drive, della quale l'autore racconta: "L’ho conosciuta su un aereo: mi ha dato un cd e sono rimasto folgorato". Ne ha ben donde. Uno spettacolo elementare ma di spessore, ironico, comico, che induce alla riflessione su temi importanti. Un confronto che arricchisce sia i personaggi in scena che genitori e figli in platea.


Cristiano Esposito

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sabato 14 marzo 2015

L’ipocrisia e la cattiveria in salsa comica: “L’amico del cuore” con Biagio Izzo all’Augusteo di Napoli

L'amico del cuore Vincenzo Salemme Biagio Izzo
Nota ai più grazie al film del 1998, la storia de “L’amico del cuore” torna sul palcoscenico in una nuova edizione che vede protagonista Biagio Izzo, con la regia dell’autore Vincenzo Salemme. Il testo risale al 1991, quando fu concepito come atto unico dal titolo “L’ultimo desiderio”, poi ampliato quattro anni più tardi nei due atti attuali in virtù del suo notevole potenziale comico. Al centro della trama, che convinse Rita Rusic insieme a suo marito Vittorio Cecchi Gori a lanciare Salemme come attore protagonista e regista sul grande schermo, c’è Roberto Cordova (Mario Porfito) che deve subire negli Usa un trapianto di cuore con pochissime possibilità di sopravvivere. Ecco allora che sfrutta questa occasione per chiedere al suo amico Michelino Seta (Biagio Izzo) di andare a letto con sua moglie Frida (Yuliya Mayarchuk) come ultimo desiderio. Quasi come fosse, da parte di Roberto, un modo per rivalersi della fortuna che ha avuto Michelino, giornalista di successo che si definisce uomo dalla mentalità aperta, sposato con una bellissima donna di origini svedesi. Ne verrà fuori un duello tra i due che butterà giù a picconate il muro dell’ipocrisia regnante anche negli altri personaggi. In fondo anche padre Leonardo (Francesco Procopio) si nasconde dietro la maschera del “ministro di Dio”, mentre Geremia (Samuele Sbrighi) è convinto di essere l’uccello che non è. Sua madre, interpretata da Antonella Cioli, non riesce a fare altro che assecondare la sua messa in scena. L’amicizia tra Roberto e Michelino finisce per rompersi brutalmente, fino alla sorpresa finale comunicata dalla ginecologa (Luana Pantaleo) che di certo non solleva il morale dei due ma li fa sciogliere nuovamente in un riconciliante abbraccio. 

In questa nuova edizione Vincenzo Salemme intende dare risalto alla crudeltà insita nei rapporti umani, perfettamente incarnata da Biagio Izzo, un Michelino vittima della sua mentalità chiusa ma anche comprensibilissima. Rispetto alla misura di Carlo Buccirosso (interprete dello stesso ruolo anche nel film, dove Izzo impersonava un tassista scritto su misura per lui), la cui comicità puntava maggiormente sulle pause e sulle intonazioni, Izzo mette qui il suo colore, la sua vivacità vistosa e il suo cinismo. E’ solo un attimo fuggente quello che lo porta a dire sì, dopo che le luci si sono abbassate e i battiti del cuore sono diventati udibili. L’ambiguità fino alla fine del testo tiene incollato alla poltrona il pubblico che vuole capire la verità sul concepimento di Frida e su cosa è realmente successo in quella camera da letto con Roberto. Quest’ultimo vuole in ogni caso vuole “partecipare” alla nascita di questo bambino.

L'amico del cuore Vincenzo Salemme Biagio IzzoLa eco del film è ancora notevole, il “me vuo’ bene?” della platea precede quello di Mario Porfito. La comicità sembra decollare, tra equivoci e dialetto, quando proprio lui inizia a parlare del suo chihuahua Cocco Bill. Salemme, come nei suoi ultimi lavori da qualche anno a questa parte, anche qui dove non compare apre la commedia alla partecipazione del pubblico, prova a chiedere opinioni agli spettatori tramite gli attori, che fin dall’inizio recitano anche in mezzo alla platea. Attecchisce lo spunto di riflessione in chiave comica sulla pericolosità dell’apparire ciò che non si è. I presenti in sala sembrano davvero pensare, tra le risate, e qualcuno tra la folla asserisce che un vero amico non dovrebbe mai chiedere una cosa simile. Compagnia all’altezza, regia snella, efficace la scelta di utilizzare ancora le musiche originali di Antonio Boccia. Applausi tiepidi alla prima e solito malcostume di fuggire via a luci ancora spente prima dei ringraziamenti finali di Biagio Izzo, che se ne accorge e con l’arma dell’ironia riesce a fermare gli sprinter sulla soglia ancora per un paio di minuti.
Cristiano Esposito

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