mercoledì 31 ottobre 2012

Giacomo Rizzo in “Un turco napoletano”, in scena al teatro Augusteo di Napoli



Il teatro Augusteo di Napoli riapre i battenti e inaugura la sua stagione teatrale, quest’anno ancor più ricca di musical e grandi produzioni, con lo spettacolo “Un turco napoletano” di e con Giacomo Rizzo. Un adattamento del testo di Eduardo Scarpetta datato 1888, a sua volta riduzione di “Un parisien” di Edmond Gondinet e reso celebre e indimenticabile anche grazie all’interpretazione cinematografica del grande Totò. Ed è proprio al principe della risata che Rizzo intende tributare un omaggio attraverso questa pièce, i cui meccanismi comici si dipanano dal classico gioco degli equivoci che, per i personaggi in scena, si scioglie solo nel finale. La trama è nota ai più: l’attempato commerciante Pasquale Catone, gelosissimo di moglie e figlia, viene indotto a credere che Felice Sciosciammocca sia un enunco di Costantinopoli e per questo decide di assoldarlo come segretario personale che sorvegli le sue donne. Felice è in realtà uno spiccato sciupafemmine e saprà come approfittare della situazione fino allo smascheramento della sua reale identità.

La farsa strizza l’occhio molto più al film diretto da Mario Mattoli nel 1953 che al testo di Scarpetta. Si tratta però di una pellicola che nel circuito televisivo locale partenopeo viene messa in onda quasi ogni giorno e rivedere su un palco quelle stesse “totoate” riprodotte dal pur stimato Giacomo Rizzo appare a tratti scontato e fiacco. La pur discreta compagnia di cui si circonda (era annunciato un Sergio Solli che invece non c’è, mentre spicca su tutti la bravissima Carla Schiavone) non regge i momenti in cui il capocomico non è in scena, in una rappresentazione che non sempre tiene il ritmo necessario alla commedia. E, tra gli innumerevoli e ridondanti baci del protagonista alle donzelle in scena e l’improbabile pronuncia francese di Julija Majarčuk, le risate purtroppo latitano. Confidiamo in una maggiore vitalità e brillantezza dello spettacolo dopo il necessario rodaggio delle prime repliche, fermo restando che a nostro parere il testo andava maggiormente ravvivato e riattualizzato. Le musiche, con discutibile mixaggio e playback degli attori in scena, sono del maestro Rino Alfieri, le scene di Tonino Di Ronza.

Cristiano Esposito


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venerdì 26 ottobre 2012

Ferro e Scarpetta, ancora un felice incontro al teatro Bracco con "Il medico dei pazzi"

Ancora Rosario Ferro, ancora Eduardo Scarpetta, ancora Felice Sciosciammocca. Ancora un testo ultracentenario, "'O miedeco d'e pazze", datato 1908, che ancora strappa numerose risate al pubblico. Ed è ormai consueto anche il garbo e il tatto con i quali la regia di Ferro attualizza e dona nuova freschezza alla rappresentazione originaria, senza stravolgimenti ma con mano leggera ed efficace. Con il solo e unico fine di divertire, regolarmente raggiunto. Niente presunte indagini introspettive su chi è davvero pazzo e chi savio, solo risate e l'inserimento di parti canore e musicali. Rosario Ferro fa suo il ruolo che fu di Totò sul grande schermo, cucendosi addosso il personaggio e caratterizzandolo col proprio stile, che il pubblico fidelizzato ormai riconosce da più di quindici anni. Accanto a lui una bravissima Ida Carrieri e una compagnia di tutto rispetto che porta il nome della compianta Bianca Sollazzo, formata da Noemi Coppola, Anna D'Amato, Aurelio De Matteis, Nancy Fontanella, Carmine Gambardella, Armando Iodice, Felice Pace, Pino Pino, Filippo Rossi, Rino Soprano, Antonio Stoccuto e il baritono Maurizio Esposito. Deliziose le scenografie, con tele dipinte a mano da Vittorio Barresi i cui colori si sposano con i costumi di Rosaria Riccio in un delicato acquerello.

"Il medico dei pazzi" di Ferro,  che apre la stagione del teatro Bracco di Napoli, pur restando fedele al testo accorpa il primo ed il secondo atto con cambio di scena a vista, terminando con un epilogo ben più breve dopo l'intervallo. Il naturale rodaggio della rappresentazione serrerà ancor di più i tempi ed esalterà ulteriormente le caratteristiche di tutti gli attori. Un'operazione, questa, da sostenere senza se e senza ma, che propaganda con coraggio e fermezza un teatro popolare irripetibile, che per assurdo oggi corre materialmente il rischio di diventare "di nicchia". Rischio che non possiamo permetterci, per salvaguardare la nostra memoria storica e una comicità genuina, mai volgare che crea un'empatia unica tra attori e spettatori. Questa, in fondo, è la Napoli che vogliamo ci rappresenti in Italia e all'estero.

Cristiano Esposito
Articolo pubblicato anche su Teatro.org al link:  
 

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Luca De Filippo in “La grande magia” al San Ferdinando di Napoli


Eduardo De Filippo era solito scrivere quasi sempre due commedie alla volta, dedicandosi alternatamente un giorno all’una, uno all’altra. Se una di queste non otteneva il successo sperato, rappresentava immediatamente la seconda. “La grande magia”, testo eduardiano coraggioso, mise d’accordo negativamente pubblico e critica nella prima edizione del 1949. Fu sostituita ben presto da “Le voci di dentro” e ripresa dal maestro solo per la registrazione televisiva nel 1964. Nel 1985 sarà poi Giorgio Streheler a curare la regia di una versione della commedia che girò trionfalmente l’Europa a pochi mesi dalla morte di Eduardo. Sotto la sua direzione il testo tutto italiano di Eduardo fu tradotto in tanti dialetti locali, uno per ogni personaggio, per uscire da una visione esclusivamente napoletana.
Per Strehler è una commedia spaventosamente negativa e amara; per Luca De Filippo è tutta incentrata sull’introspezione, sulla disillusione di assistere in Italia ad un reale cambiamento. Fatto sta che come “Napoli milionaria” anticipò temi e stili di un certo tipo di cinema, così Eduardo si distacca con essa dal realismo due anni prima di Miracolo a Milano. 

“La grande magia” è la storia di un marito, Calogero Di Spelta, la cui moglie fugge con l’amante approfittando dei giochi di un illusionista fallito, che a tratti ricorda il Sik Sik degli esordi eduardiani. Il protagonista rinuncerà ad una verità migliore dell’illusione di avere la moglie con sé chiusa in una scatola, facendo un uso forse strumentale della fantasia soggettiva a spese della realtà oggettiva una volta scoperto il tradimento di lei. Aggrapparsi all’illusione, al sogno a volte può essere l’unica ancora di salvezza. “La vita è un gioco – diceva Eduardo – e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalle fede”.

I toni irrealistici e fantastici sono alimentati in questa versione da personaggi calcati macchiettisticamente, in una messa in scena essenziale ma di grande suggestione, grazie alle scene e ai costumi di Raimonda Gaetani e alle luci di Stefano Stacchini. Il ritmo non è sempre sostenuto ma, si sa, Luca De Filippo fa suo anche quel teatro dell’illustre genitore fatto di pause, riflessioni pirandelliane e silenzi toccanti. Accanto a lui Paola Fuciniti, Alessandra D’Ambrosio, Carmen Annibale, Lydia Giordano, Massimo De Matteo, Antonio D’Avino, Daniele Marino, Gianni Cannavacciuolo, Nicola Di Pinto, Giulia Pica, Carolina Rosi e Giovanni Allocca.

Il tutto per una commedia annoverabile tra le minori di Eduardo, di cui però oggi appare forse ancor più chiara la genialità e l’originalità. Grande metafora su realtà e illusione, sul potere della finzione scenica, sulla relatività del tempo, in cui l’immagine dell’uomo è più vera dell’uomo stesso. Siamo tutti esperimenti, giochi di un grande illusionista, e il pubblico è come un mare che lascia l’attore solo, isolato. Perché, come scriveva Calderón de la Barca, “Tutti nella vita sognano di essere quello che sono. Solo che nessuno se ne rende conto”.

Cristiano Esposito
 

 
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venerdì 19 ottobre 2012

Il viaggio attraverso le stanze del cuore di Lina Sastri e di Napoli al teatro Diana


La stagione 2012-2013 del teatro Diana di Napoli, che quest’anno festeggia gli ottanta anni di attività, si apre con Lina Sastri e il suo concerto spettacolo “Linapolina – Le stanze del cuore”. La rappresentazione, presentata al pubblico per la prima volta lo scorso settembre all’interno del Napoli Teatro Festival Italia sempre al teatro Diana, racconta Napoli e la sua musica eterna, mettendo in scena intimamente ed emozionalmente tutto ciò che è l‘artista Sastri. 

Considerevole valore aggiunto sono i bravissimi otto musicisti (Filippo D’Allio, Ciro Cascino, Salvatore Minale, Claudio Romano, Gennaro Desiderio, Gianni Minale, Salvatore Piedepalumbo e Luigi Sigillo), il danzatore Raffaele De Martino, le proiezioni di Claudio Garofalo e le magiche scene e luci di Bruno Garofalo, che trasformano il palco in un pezzetto del golfo di Napoli, un mare aperto che amplifica sensazioni ed emozioni. Le canzoni in napoletano, a metà tra tradizione e sperimentazione, sono intervallate dai viscerali testi in italiano di Lina Sastri, dai silenzi, dalla danza e appunto dal mare, filo rosso che raffigura il flusso dell’anima della protagonista. E’ lo spettacolo della maturità artistica della Sastri, che scrive e dirige quello che sente, con piena libertà. Lina è Napoli e Napoli è un po’ anche Lina, la sua voce verace, graffiata dall’autolesionismo e dalle contraddizioni ormai ataviche e irrisolvibili della città. 

Insomma una lieve ma forte cantata poetica in musica che ci accompagna per le stanze del cuore della Sastri. E di Napoli, che in questo spettacolo le assomiglia non solo per le sillabe iniziali e finali del suo nome: Linapolinapolinapoli…

Cristiano Esposito
 
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