lunedì 29 giugno 2015

NAPOLI TEATRO FESTIVAL 2015 - Tolcachir torna a Napoli con "Dinamo"

tolcachir dinamo napoli teatro festival 2015Dopo il successo del 2012 il regista e drammaturgo argentino Claudio Tolcachir torna a Napoli, dove il Teatro Festival ha scelto di coprodurre Dinamo, la sua ultima creazione. Scritto e diretto nell’arco di un anno in collaborazione con Melisa Hermida e Lautaro Perotti, lo spettacolo è un viaggio nel mondo di tre donne diverse e sole, sospese tra lucidità e follia. Il titolo, che inizialmente doveva concretizzarsi anche sulla scena con un oggetto reale, indica la forza manuale, la lavorazione quasi artigianale, che genera la magia che  gli autori volevano legasse i tre personaggi. La roulotte immersa nel nulla ricostruita da Gonzalo Cordoba Estévez è la casa di Ada (Marta Lubos), un’ex cantante che si ritrova a dover ospitare sua nipote Marisa (Daniela Pal), ex tennista che non sa se i suoi genitori sono morti per un incidente o per un suicidio seguito ad una sua sconfitta ad un torneo giovanile. Ada spesso afferra il microfono alla ricerca dell’ispirazione e delle note che la riportino forse ai fasti di un tempo, mentre si chiede dove sia finita la sua voce. Marisa dovrebbe allenarsi per riprendere a giocare a tennis, ma riesce soltanto a farsi male. E c’è un terzo personaggio, Harima (Paula Ransenberg), giunta da un paese lontano che a giudicare dalla lingua (inventata) sembrerebbe dell’est. Harima vive negli angoli nascosti della roulotte, appare e scompare quasi come un “munaciello”, fin quando non viene vista dalle altre due.
 
Tre personaggi strani che condividono tra loro unicamente uno stesso luogo fisico, che non riescono a comunicare, immersi soltanto nelle proprie preoccupazioni e nei propri interessi volti a rimettere insieme i pezzi di un’esistenza lacerata. Emblematici sono a questo proposito i quadri in cui le tre attrici sono tutte in scena contemporaneamente in luoghi diversi della pur piccola roulotte, separate, divise, sole. Alla fine Harima risulterà la meno strana delle tre e riuscirà ad aiutare in qualche modo le due coinquiline, ad accorciare le distanze, a scavalcare qualche muro. Ada utilizzerà i suoni della sua lingua per comporre canzoni, mentre una Marisa immobilizzata dagli infortuni domestici riuscirà a mangiare soltanto attraverso il suo aiuto.
  
Joaquin Segade tira fuori qualsiasi suono o effetto possibile dalla sua chitarra elettrica per accompagnare le bizzarie della trama e dei personaggi. Il maggior pregio della messa in scena, a parte una certa originalità dell’idea di partenza, è la leggerezza con cui tocca argomenti drammatici. C’è tanta comicità tragica, come quando Marisa, che sostiene di aver visto in passato “i morti”, prima crede che Harima sia una creazione della sua mente e poi è convinta di trovarsi davanti ad una defunta. Inevitabile a quel punto chiederle se può vedere i suoi genitori e come questi sono morti realmente. Tolcachir supera con sufficienza piena questa nuova sfida, in uno spettacolo non facile ma di cui riesce a tenere il ritmo quasi sempre alto nonostante una lingua inventata e i tanti silenzi, tra spazi ridotti e un assurdo che strizza l’occhio a Beckett.

Cristiano Esposito
 
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sabato 20 giugno 2015

NAPOLI TEATRO FESTIVAL 2015 - "Rituccia" di Fortunato Calvino: la guerra che siamo noi e che non finisce mai

rituccia fortunato calvino napoli teatro festival 2015E' andato in scena lunedì 15 e martedì 16 giugno 2015 al Teatro Nuovo di Napoli "Rituccia", il nuovo lavoro di Fortunato Calvino. Il punto di partenza è "Napoli milionaria", commedia del 1945 scritta ed interpretata da Eduardo De Filippo e inserita nella Cantata dei giorni dispari. Rituccia è la figlia di donna Amalia Jovine, la bambina malata che in realtà simboleggiava la Napoli profondamente ferita e sconvolta dalla guerra. L'autore Calvino è stato spinto da quattro forti motivazioni a scrivere questo testo: l'omaggio ad Eduardo e al suo teatro, il monito contro ogni tipo di guerra, la passione per la città di Napoli e l'interesse verso l’universo femminile. Non a caso le protagoniste sono cinque donne: Antonella Cioli, nel ruolo di Rituccia/Donna Amalia, Antonella Morea, Laura Borrelli, Rosa Fontanella e Gioia Miale

Rituccia è sopravvissuta all’ultimo conflitto mondiale e sulla scena ricorda, in maniera ossessiva, i momenti trascorsi nel ricovero, in un crescendo di emozioni e sensazioni prevalentemente negativi. “La guerra è un fuoco che non si spegne mai”: la protagonista, ormai matura, si ritrova oggi a fare i conti con una guerra ancora più violenta, che conta ogni giorno anche morti innocenti e indifesi: la guerra di camorra. È una donna traumatizzata dagli orrori del conflitto, ma che nella quotidianità prova a combattere quelli che sono i soprusi da parte di donne senza scrupoli. Perché la guerra "s'arrobba 'a felicità", non guarda in faccia a nessuno e se pure passerà, ma non passa, come si fa a scordare? Rituccia adesso fa la segretaria in uno studio medico, eppure sente ancora il frastuono di quegli anni di bombardamenti. Suo marito è morto, i figli sono lontani: è sola contro i suoi fantasmi. Decide allora di riacquistare il basso in cui viveva con i suoi genitori, per tornarci ogni tanto anche solo per il tempo di un caffè.

E' lampante il corto circuito tra un registro nerissimo, tragico come solo la guerra sa essere, e i quadri in cui si entra abbondantemente nella commedia (con la Borrelli e la Morea in grande evidenza). Ed è durante questi ultimi che il pubblico si entusiasma maggiormente. Manca però un vero filo conduttore tra i due differenti toni ed anche tra gli eventi della narrazione. Il testo, non privo di spunti e linguaggio interessanti, ogni tanto cade nel didascalico e nel retorico, andando raramente in profondità negli eventi. E il finale sembra un attimino avventato, telefonato, liquidato in una scena di morte troppo veloce. Il disegno luci di Renato Esposito arricchisce la rappresentazione, mentre appaiono essenziali le scene di Paolo Foti e le musiche di Paolo Coletta. I costumi di Annamaria Morelli che cingono le attrici sono tutti di colore quasi uguale, così come le scarpe e i ventagli che le protagoniste agitano simultaneamente nella sala d'attesa. Fino a quando la camorra entra chiaramente in gioco, e il rosso diventa il nero della morte e del male. E una banale questione di tradimenti diventa ancora occasione di morte. Perché, in fondo, "simme nuje 'a guerra" e la "nuttata" dopo settant'anni non è ancora passata. 

Cristiano Esposito
Naike Del Grosso
 
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domenica 14 giugno 2015

NAPOLI TEATRO FESTIVAL 2015 - La Fura dels Baus incanta Napoli con il mito delle passioni umane

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Sessanta minuti di teatro urbano multidisciplinare, di forte impatto visivo, emotivo e spettacolare, tra musica, circo, proiezioni video, cinema, opera lirica, acrobazie, mito e danza. La compagnia catalana “La Fura dels Baus”, fondata a Barcellona nell’ormai lontano 1979, incanta la Mostra d’Oltremare di Napoli e realizza tutto questo con “Afrodita y el juicio de Paris”, a partire dal tema mitologico del “pomo della discordia”: Eris, dea della discordia, non viene invitata al matrimonio tra Teti e Peleo e per vendetta vi si presenta ugualmente scagliando sul tavolo del banchetto una mela d’oro con incisa la frase “Alla più bella”. Sarà Paride a dover dirimere a questo punto la lite tra Era, Afrodite e Atena. Atena gli promette la vittoria in guerra, Era la sovranità sull’Asia, Afrodite l’amore di Elena, la donna più bella della terra. Quest’ultima ricompensa farà scaturire la decisione di Paride di donare la mela ad Afrodite.

Non è la prima volta che “La Fura dels Baus” adopera il mito per parlare delle passioni umane (vedi «Cantos de sirena») e questa volta mette al centro l’invidia che regna, oggi come ieri, nelle relazioni tra gli uomini. Uomini che non possono comprendere fino in fondo cose più grandi di loro, come ad esempio ciò che li ha generati. Ma l’ultimo quadro dello spettacolo, con numerosi acrobati sospesi in aria che si compattano in una grande rete umana, fa passare il messaggio che l’unione cooperativa porta ad un miglioramento della società. Alla fine Paride compie la scelta più umana, scegliendo l’amore e la bellezza, anche se ciò condurrà prima alla guerra fra le tre dee e poi a quella fra greci e troiani. 
 
La compagnia, guidata da sei registi, utilizza da oltre vent’anni simboli per evocare un sentimento o un’emozione da una prospettiva visiva di grande scala. C’è un grande lavoro di squadra dietro uno spettacolo de “La Fura dels Baus”. Oltre ai ballerini e agli acrobati, maggiormente visibili, vi lavorano guidatori di gru e burattinai, che ad esempio danno vita ad una gigantesca Afrodite. Centoventi le persone coinvolte nella rappresentazione, novanta delle quali sono giovani campani coordinati dalla compagnia di danza Körper. L’allestimento, invece, prende la forma del suo contenitore: tutto lo spazio centrale della Mostra d’Oltremare, con annessi i suoi edifici. Lo stile riconoscibile è quello della contaminazione dei linguaggi. Il pubblico è parte integrante dello spettacolo, con enormi elementi scenografici (giganti, cavalli e così via) che passano in mezzo alla folla o volano sulle teste degli spettatori. Ed ecco che l’esperienza spettatoriale diventa anche fisica. Gli elementi d’avanguardia, oggi ripresi da diversi spettacoli, sono l’annullamento della frontalità, la centralità di un disegno luci spettacolare, l’uso di spazi non convenzionali, il rapporto pubblico/scena e gli interventi fisici come l’acqua che
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scorre dall’alto (notevole in questo senso la sequenza che rappresenta la nascita). Qualche inconveniente tecnico, tipo un microfono di una tromba che fa i capricci, e una discutibile scelta delle voci che fanno da sfondo alle videoproiezioni, non ostacolano più di tanto la riuscita dell’allestimento, comunque unico nel suo genere e di grande effetto. 

Già nel 1992 la compagnia si esibì in mondovisione alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Barcellona. Per poi prestare le proprie rappresentazioni alla musica classica e all’opera: ricordiamo Madame Butterfly, Tristano e Isotta, Orfeo ed Euridice ed Aida. Una longevità non casuale, quella della Fura, figlia di una squadra che ogni volta si rinnova con l’intenzione di stupire sempre come la prima volta. Napoli risponde al ritorno in città dopo sedici anni con una Mostra d’Oltremare gremita da spettatori con lo sguardo incantato rivolto verso le stelle.

Cristiano Esposito 

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martedì 9 giugno 2015

NAPOLI TEATRO FESTIVAL 2015 - "Butterfly suite": la danza delle anime fragili di Marilyn Monroe e Mia Martini

butterfly suite lalla esposito cristina donadio napoli teatro festival mia martini marilyn monroeIn questo primo weekend del Napoli Teatro Festival è andata in scena, presso l’auditorium di Castel Sant’Elmo, la prima assoluta di “Butterfly suite”. Da un’idea di Laura Valente, Cristina Donadio e Lalla Esposito hanno raccontato in parole e musica due artiste molto diverse, eppure legate da un medesimo destino tragico. E dalle stesse iniziali di nome e cognome: Marilyn Monroe e Mia Martini. Accompagnato dalle musiche di Marco Zurzolo, il pubblico rivive le ambiguità e i tormenti di queste due icone sin dai tempi dell’infanzia. «Camminano su un cavo come acrobate – afferma Cristina Donadio, che pure aveva già realizzato la performance “Suite per anime farfalla” -, con le braccia aperte a fare da bilanciere. Le bambine guardano in basso, verso l’abisso dove c’è una folla che le invoca con ampi gesti. Le vogliono, le reclamano, urlano: sono bocche spalancate, pronte a divorarle». E’ una danza di due anime fragili e impaurite, che non riescono a godersi appieno il mondo che appunto le fagocita ed il successo che le brucia in fretta. Eppure volano, come farfalle leggere, incerte, precarie, sopra gli occhi del pubblico ammirato. Non sanno, o forse sì, che il loro volo si esaurirà presto, nel dramma e nella solitudine.

Il sipario si apre inizialmente soltanto in minima parte e, purtroppo, soltanto chi è seduto in posizione centrale riesce a vedere una Marilyn che balla da sola, prima di accasciarsi alla destra del proscenio accanto ad un ventilatore. Le due protagoniste cominciano ad alternarsi nei brani di Mia Martini (il recitato sarà quasi interamente limitato alle videoproiezioni sul fondale): si parte con “Spaccami il cuore”, e sull’attacco “Sono un’attrice, stammi a guardare” è già chiaro quanto le parole calzino a pennello anche su Marilyn. Dai diari di quest’ultima, altro punto di partenza dello spettacolo ascoltiamo: “Dicono che mi sono uccisa. Non è vero. Mi hanno uccisa lentamente. Loro. Tutti voi. Avete detto che sono una strega. Mi avete messa sul rogo”. E poi spazio ancora alle canzoni di Mia Martini con “Volesse il cielo”, “Un altro Atlantico”, “Amanti”. Dopo “Notturno”, eseguita sia dalla Donadio che dalla Esposito, la Marilyn in scena si alza, camminando prima sui talloni e poi sulle punte, nei passi creati e mossi da Susanna Sastro. Le splendide parole di Ivano Fossati in “La costruzione di un amore”, inizialmente sulle note del solo contrabbasso di Corrado Cirillo, precedono “Padre davvero”, dove il piano di Giosi Cincotti la fa da padrone. In un crescendo di popolarità dei pezzi si prosegue con “La nevicata del ‘56”, al cui inizio compare una asta per il microfono a rievocare il Festival di Sanremo del 1990. La Marylin in scena si rialza, mette le scarpe, balla un po’ e ricrolla al suolo, emulata dalla Donadio dopo l’esecuzione di “E non finisce mica il cielo”. Ancora “Minuetto”, “Gli uomini non cambiano”, la più triste poesia di Marilyn («Oh Dio vorrei essere morta – assolutamente inesistente – scomparsa da qui») e il tono più sollevato di "Col tempo imparerò". Si chiude, prevedibilmente, con “Almeno tu nell’universo” che sfocia in “Bye bye baby”, unico pezzo della Monroe della rappresentazione. E con la Marilyn in scena che guadagna il centro della scena dietro le due attrici. 

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Una suite a due voci, possente quella di Lalla Esposito, forse un po' giù di tono e dal timbro esile e graffiato quella di Cristina Donadio, elegante e suggestiva. Per raccontare come il successo possa non bastare a donare la felicità a due psicologie complesse e a impedire ad esse di preferire la morte alla vita. Le vicende di Marilyn e Mimì si intrecciano senza forzature né stridii nelle parole raddoppiate delle due attrici. Ma una parte fondamentale dell’impalcatura su cui si regge il tutto è rappresentata dagli arrangiamenti e dagli assoli del sax di Zurzolo. I costumi sono di Alessio Visone, video e foto scenografia di Giorgio Pinto e Daniela Capalbo.

Cristiano Esposito
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