venerdì 5 dicembre 2014

Risate di tradizione al Cilea di Napoli con Luigi De Filippo

Anche quest’anno Luigi De Filippo torna al Cilea di Napoli e lo fa con una commedia di suo padre Peppino, intitolata “La lettera di mammà”. Messa in scena per la prima volta il 4 gennaio 1933 al teatro Sannazaro di Napoli dai fratelli De Filippo, è una farsa comica popolare che unisce i temi della fame e della nobiltà di matrice scarpettiana ad alcune notazioni di costume di Peppino riguardo le ipocrisie e le ambiguità della borghesia, tanto cara al fascismo. Anche attraverso questa rappresentazione il pubblico napoletano scoprì nei giovani fratelli De Filippo quel talento e quella comicità pervasa di amarezza che, col tempo, li avrebbe resi celebri e ammirati in Italia e all’estero. Al centro della storia troviamo Edoardo Mesti di Castelfusillo, un barone impoverito che combina il matrimonio di suo nipote Riccardo con Claretta, figlia di Gaetano, ricco commerciante, e di Luisa, più interessata al titolo nobiliare da acquisire che al benessere economico raggiunto. Nel contempo il barone mira a sposare la ricca zitella Teresa, sorella di Luisa, unicamente per salvarsi dalla miseria. Riccardo però, educato e ingenuo, intende rispettare le ultime volontà della madre defunta, contenute in una lettera che sembra negare che il matrimonio venga consumato e auspicare il platonico rispetto della donna. Il matrimonio tra il barone Edoardo e Teresa, però, potrà avvenire soltanto in seguito al battesimo del primo bebè della coppia di giovani sposi. Risolverà tutto Edoardo con una trovata geniale…

Si ride meno rispetto agli ultimi spettacoli di Luigi De Filippo, nonostante l’immortalità del meccanismo comico delle storpiature linguistiche da “pezzenti saliti”. Alcune battute, a riguardo, sono chiaramente prese a prestito da “Miseria e nobiltà” di Scarpetta, specialmente quando Luisa intende impartire lezioni di signorilità alla cameriera. Siamo di fronte ad uno spettacolo per gli amanti delle commedie popolari di una volta, di cui ci arriva intatta la genuinità e il divertimento pulito tra adulteri, ingenuità giovanili, doti e titoli nobiliari, apparenze e realtà. Si conferma la centralità delle problematiche matrimoniali, discusse da De Filippo a tu per tu con il pubblico all’apertura del sipario sul secondo atto. Accanto alla sua maestria comica e alla sua naturalezza nella recitazione va messa in rilievo la bravura di Fabiana Russo (Giuseppina, la cameriera) e di Vincenzo De Luca (Riccardo, il baroncino goffo e impacciato), autentica macchietta. In scena con loro, in piena sintonia col registro classico della rappresentazione, Claudia Balsamo (Claretta), Stefania Aluzzi (Luisa), Riccardo Feola (Ernesto), Francesca Cardiello (signora Carnale), Marilia Testa (Dorina), Stefania Ventura (Teresa), Michele Sibilio (Gaetano), Giorgio Pinto (Cavalier De Rosa). Deliziosi i costumi. Applausi e risate dalla platea, mai abbastanza gremita quando un De Filippo torna a Napoli tra un sold out e l’altro in giro per l’Italia.

Cristiano Esposito


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Il dialogo uomo-donna contro il male di vivere: “La scena” di Cristina Comencini al Diana di Napoli

E’ un condensato notevole di sentimenti e stati d’animo questo “La scena”, commedia scritta e diretta da Cristina Comencini. Amore, rabbia, paura, dolore, amicizia, fragilità e forza declinate sia al femminile che al maschile. Le protagoniste sono due amiche di sempre, opposte e complementari, orgogliose di sé eppure desiderose di pensare e comportarsi come l’altra, ogni tanto. Lucia (Angela Finocchiaro), attrice professionista, una domenica mattina prova una scena nei panni di una donna sconvolta dalla vita in casa di Maria (Maria Amelia Monti). Entrambe separate, la prima seria, razionale, con un passato sentimentale che l’ha resa guardinga nei confronti del mondo maschile e la seconda con due figli, donna “leggera” e spensierata, passionale e incline a rapide avventure di una notte che ritiene possano procurarle “l’uomo giusto”. Come quella che ha appena trascorso con un giovane di ventisei anni, interpretato dal promettente attore comasco Stefano Annoni. Quando questi salta fuori in mutande davanti a Lucia, che sta riprovando la scena con i toni maggiormente sensuali proposti da Maria, è convinto di aver passato la notte con lei. Scatta così il divertente e classico meccanismo degli equivoci, in cui le due amiche dimostrano di conoscersi così bene da poter recitare egregiamente a memoria i rispettivi ruoli. Ma qui esce fuori la cruda visione che ognuna ha dell’altra, probabilmente mai raccontata. Poi il gioco finisce e le due rivelano le loro vere identità, così come il ragazzo, segnato da una madre imperiosa causa della sua rabbia quando viene relegato al ruolo di ragazzino-figlio in mutande.
 
Le stesse righe scritte su un copione raccontano per Lucia, che ha rinunciato agli uomini con sfiducia e si accontenta di amare i personaggi che incontra sul palcoscenico, fragilità e tempeste dell’anima mentre per Maria rappresentano erotici terremoti interni ed occasioni di vita. Ciò è dovuto al passato incancellabile che condiziona il presente e porta a scegliersi un modo per difendersi dalla vita. Quel passato che “sono solo muri sventrati, case terremotate da cui si deve fuggire”. La Comencini spariglia le carte scrivendo di un ragazzino che corre dietro a due donne in età e proponendo un’analisi dei rapporti tra uomo e donna, tra genitori e figli, auspicando una convergenza, un incontro e un dialogo utile ad educarsi a vicenda, ad uscire dalla solitudine e a riconoscere le proprie ferite, i propri vuoti da riempire. Ma c’è abbastanza spazio anche per le risate napoletane, in questa commedia dagli accenti del nord che scorre con buon ritmo e garbata ironia. Con un interrogativo finale: è nella vita che siamo liberi di essere chi vogliamo oppure è il palcoscenico l’unico luogo veramente libero di questo mondo?

Cristiano Esposito
  
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