martedì 9 giugno 2015

NAPOLI TEATRO FESTIVAL 2015 - "Butterfly suite": la danza delle anime fragili di Marilyn Monroe e Mia Martini

butterfly suite lalla esposito cristina donadio napoli teatro festival mia martini marilyn monroeIn questo primo weekend del Napoli Teatro Festival è andata in scena, presso l’auditorium di Castel Sant’Elmo, la prima assoluta di “Butterfly suite”. Da un’idea di Laura Valente, Cristina Donadio e Lalla Esposito hanno raccontato in parole e musica due artiste molto diverse, eppure legate da un medesimo destino tragico. E dalle stesse iniziali di nome e cognome: Marilyn Monroe e Mia Martini. Accompagnato dalle musiche di Marco Zurzolo, il pubblico rivive le ambiguità e i tormenti di queste due icone sin dai tempi dell’infanzia. «Camminano su un cavo come acrobate – afferma Cristina Donadio, che pure aveva già realizzato la performance “Suite per anime farfalla” -, con le braccia aperte a fare da bilanciere. Le bambine guardano in basso, verso l’abisso dove c’è una folla che le invoca con ampi gesti. Le vogliono, le reclamano, urlano: sono bocche spalancate, pronte a divorarle». E’ una danza di due anime fragili e impaurite, che non riescono a godersi appieno il mondo che appunto le fagocita ed il successo che le brucia in fretta. Eppure volano, come farfalle leggere, incerte, precarie, sopra gli occhi del pubblico ammirato. Non sanno, o forse sì, che il loro volo si esaurirà presto, nel dramma e nella solitudine.

Il sipario si apre inizialmente soltanto in minima parte e, purtroppo, soltanto chi è seduto in posizione centrale riesce a vedere una Marilyn che balla da sola, prima di accasciarsi alla destra del proscenio accanto ad un ventilatore. Le due protagoniste cominciano ad alternarsi nei brani di Mia Martini (il recitato sarà quasi interamente limitato alle videoproiezioni sul fondale): si parte con “Spaccami il cuore”, e sull’attacco “Sono un’attrice, stammi a guardare” è già chiaro quanto le parole calzino a pennello anche su Marilyn. Dai diari di quest’ultima, altro punto di partenza dello spettacolo ascoltiamo: “Dicono che mi sono uccisa. Non è vero. Mi hanno uccisa lentamente. Loro. Tutti voi. Avete detto che sono una strega. Mi avete messa sul rogo”. E poi spazio ancora alle canzoni di Mia Martini con “Volesse il cielo”, “Un altro Atlantico”, “Amanti”. Dopo “Notturno”, eseguita sia dalla Donadio che dalla Esposito, la Marilyn in scena si alza, camminando prima sui talloni e poi sulle punte, nei passi creati e mossi da Susanna Sastro. Le splendide parole di Ivano Fossati in “La costruzione di un amore”, inizialmente sulle note del solo contrabbasso di Corrado Cirillo, precedono “Padre davvero”, dove il piano di Giosi Cincotti la fa da padrone. In un crescendo di popolarità dei pezzi si prosegue con “La nevicata del ‘56”, al cui inizio compare una asta per il microfono a rievocare il Festival di Sanremo del 1990. La Marylin in scena si rialza, mette le scarpe, balla un po’ e ricrolla al suolo, emulata dalla Donadio dopo l’esecuzione di “E non finisce mica il cielo”. Ancora “Minuetto”, “Gli uomini non cambiano”, la più triste poesia di Marilyn («Oh Dio vorrei essere morta – assolutamente inesistente – scomparsa da qui») e il tono più sollevato di "Col tempo imparerò". Si chiude, prevedibilmente, con “Almeno tu nell’universo” che sfocia in “Bye bye baby”, unico pezzo della Monroe della rappresentazione. E con la Marilyn in scena che guadagna il centro della scena dietro le due attrici. 

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Una suite a due voci, possente quella di Lalla Esposito, forse un po' giù di tono e dal timbro esile e graffiato quella di Cristina Donadio, elegante e suggestiva. Per raccontare come il successo possa non bastare a donare la felicità a due psicologie complesse e a impedire ad esse di preferire la morte alla vita. Le vicende di Marilyn e Mimì si intrecciano senza forzature né stridii nelle parole raddoppiate delle due attrici. Ma una parte fondamentale dell’impalcatura su cui si regge il tutto è rappresentata dagli arrangiamenti e dagli assoli del sax di Zurzolo. I costumi sono di Alessio Visone, video e foto scenografia di Giorgio Pinto e Daniela Capalbo.

Cristiano Esposito
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