lunedì 23 marzo 2015

"Una pura formalità" al Bellini di Napoli: il proficuo sodalizio Mauri-Sturno continua

Nel buio a sipario chiuso il rumore della pioggia aumenta sempre più di volume; poi si ode uno sparo. Uno scrittore corre sotto la pioggia in un bosco. E' sera, viene portato in un commissariato dalle pareti sbilenche, dove le penne non scrivono, con un orologio senza lancette e strani graffiti sui muri. Un commissario, suo ammiratore, lo trattiene per fargli qualche domanda, la canonica "una pura formalità". Ma in realtà sospetta che egli si sia appena macchiato di un omicidio avvenuto nei paraggi. Lo scrittore nega, si contraddice, parla di una stazione che non esiste, dichiara di non ricordare cosa ha fatto dalle ore 19:00 in poi. La sorprendente agnizione finale risolve alcuni quesiti ma ne pone di nuovi. "Già, e adesso?", chiede lo scrittore nell'ultima battuta sulla soglia del commissariato. Adesso si conclude soltanto la vicenda a cui gli spettatori possono assistere ma tutto non il resto.

Di uno spettacolo così sapientemente costruito come "Una pura formalità", di un testo congegnato per rapire, sorprendere e alimentare la sete di verità del pubblico è meglio non svelare nient'altro. Basti sapere, ma di ciò lo spettatore si accorge dopo poco, che questo commissariato è un luogo onirico e simbolico, posto tra la vita e la morte. All'interno del quale partirà un viaggio in una memoria da riafferrare, tratto dall'omonimo lungometraggio del 1994 di Giuseppe Tornatore, che ottimamente si presta al teatro, adattato e diretto con sapienza da Glauco Mauri. Il quale interpreta con eccezionale misura ed efficacia il commissario, vestito allo stesso tempo di rigore professionale e premura. Roberto Sturno è lo scrittore sempre in scena Onoff, nome omen, la cui memoria si accende e spegne in un'intermittenza lunga quanto l'intera rappresentazione. Non sfigurano i giovani attori Giuseppe NItti, Amedeo D'Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso e Marco Fiore. Le suggestive scene sono di Giuliano Spinelli, che fa piovere acqua vera sul palco, i costumi di Irene Monti, le musiche di Germano Mazzocchetti.

Un thriller che conduce alla scoperta di sé stessi e della propria vita, delle proprie emozioni e fragilità, capace di mantenere sempre la tensione alta con la conseguente e palpabile ammirazione finale del pubblico. Che si porta via a casa residui di riflessioni e interrogativi, segno inequivocabile di aver assistito ad un teatro di buona fattura.

Cristiano Esposito
 
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