venerdì 1 novembre 2013

La crisi della fede e dei valori secondo Carlo Buccirosso al teatro Cilea di Napoli


Ogni spettacolo di Carlo Buccirosso ti incolla alla poltrona, ti prende dall’inizio alla in un turbinio di risate, emozioni e colpi di scena, ti rapisce grazie alla costruzione sapiente dell’intreccio e alla caratterizzazione accurata di ogni singolo personaggio. Raramente capita di uscire dalla sala con tanto divertimento, tanta ammirazione, tanti pensieri e riflessioni di un certo spessore che frullano in testa. Al grande favore del pubblico non corrisponde però una risonanza di uguale portata che pure le sue commedie meriterebbero, come e più di come accade per altri. Ma forse tutto ciò è voluto proprio da lui, Carlo Buccirosso, professionale, meticoloso e rigoroso proprio come il suo teatro. Non appare molto in tv, non partecipa al grande circo dello spettacolo, tutto lustrini ed eventi mondani. Semplicemente fa il suo teatro, in cui mette tutto sé stesso dimostrando il grande rispetto che ha del pubblico, il quale non è stupido e capisce e apprezza questo grande professionista. Oltre alle sue strepitose interpretazioni, che spaziano con grande disinvoltura dalle sfumature divertenti del personaggio che si è cucito addosso da sempre, e che forse è lui stesso, con tempi e modi comici irresistibili, ai toni drammatici e di grande impatto emotivo, c’è la sua drammaturgia e la sua regia. Tutto molto ben congegnato, elaborato, senza lasciare nulla al caso.
 
“Finché morte non vi separi” è ambientato in un piccolo paese di provincia (da una battuta di Saverio, promesso sposo di Carolina, pare essere Pollena Trocchia), dove Don Guglielmo (Carlo Buccirosso) sta per celebrare il matrimonio dell’anno tra due giovani di famiglie ben in vista. Qualcosa non andrà per il verso giusto, forse a causa di un'improvvisa discordia tra i promessi sposi,  forse solo per via di un semplice inciucio di paese, o magari per la classica intrusione del terzo incomodo. Spetterà al povero parroco, intralciato/aiutato dalle indagini via internet di sua sorella Rosa (Tilde De Spirito), dallo stravagante sagrestano (Davide Marotta) e dal suo chierichetto (Giordano Bassetti), tenere a bada le due famiglie e riportare sulla retta via Carolina (Claudiafederica Pretella) e Saverio (Sergio D’Auria). La sagrestia, luogo in cui si avvicendano i componenti delle due famiglie, diventerà il luogo metaforico in cui si riflettono le distorsioni di una società sempre più in preda a un decadimento di valori, dove la prima preoccupazione è la salvaguardia dell’idea che ognuno di noi cerca di dare di sè stesso agli altri. Questo nonostante ognuno abbia i suoi scheletri nell’armadio e reciti nella vita di tutti i giorni con ipocrisia nei falsi rapporti interpersonali che intercorre. Si genera così quasi automaticamente l’inciucio, quello che Don Guglielmo descrive come l’ottavo peccato capitale, perché “Gesù Cristo stesso è stato vittima del più grande inciucio della storia”. E non si salva nemmeno chi non prende posizione e non si schiera, perché complice nell’alimentare il meccanismo perverso che trasforma i pregiudizi e le calunnie in verità incontrovertibili. E’ questo che Don Guglielmo dice ai personaggi in scena ma anche al pubblico, al quale sul finale chiede di alzarsi per partecipare attivamente alla funzione che commemora il padre dello sposo (Gianni Parisi, mentre a impersonare sua moglie è Graziella Marina; il padre della sposa è Gino Monteleone), che non regge ai tanti dispiaceri e prima di morire biascica un “Te piace ‘o munaciello?” alla maniera di Luca Cupiello al terzo atto della celebre commedia eduardiana. Tutti in piedi quindi, o quasi, uniti in una preghiera collettiva contro i pregiudizi e l’inciucio mentre la platea si trasforma in una navata di una chiesa. Argomenti serissimi ma conditi dalla tipica comicità di Buccirosso che rende il tutto digeribile facilmente ad ogni tipo di spettatore.  Di grande effetto le scene di Gilda Cerullo, quattro ambienti completamente diversi che nel secondo atto cambiano a sipario aperto in pochi secondi. Le musiche originali, gradevolissime, sono di Bruno Lanza e Leo Barbareschi, i costumi di Zaira De Vincentiis, le luci di Francesco Adinolfi.
 
Uno spettacolo attualissimo, con i soliti guizzi geniali di Carlo Buccirosso (“’O munaciello è peggio di Equitalia, s’arrobba tutt’ cos’!”), sulla crisi della fede e dei valori, sull’omosessualità, sulla privacy impossibile specie nei paesini ai tempi di Facebook, sulla situazione non florida nemmeno nella chiesa, che assomiglia sempre più ad un teatro farsesco. Risate e contenuti validi, come raramente se ne trovano in testi nuovi, originali; per tutto questo ci risulta difficile credere che il bravo Buccirosso faccia sul serio quando, in alcune battute della rappresentazione, mostra di non gradire particolarmente il cinema di Nanni Moretti. Oltre due ore di commedia senza pause, fin quando Don Guglielmo annuncia a tutti i presenti che “la messa in scena è finita, andate in pace” e sul chiudersi del sipario abbraccia affettuosamente il personaggio che si è rivelato gay, che non nominiamo per non rovinare una delle tante sorprese. Lunghi, generosi applausi per Carlo Buccirosso alla sua prima al Cilea di Napoli; lui ringrazia rigorosamente, a modo suo, fa prendere tanti applausi anche alla sua bella compagnia, non parla ma lascia parlare la soddisfazione del suo pubblico, il teatro, la vita.

Cristiano Esposito
 
                        
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