sabato 7 febbraio 2015

Beckett al San Ferdinando di Napoli: comunque vada il finale, Lello Arena ha vinto la partita

Ben venga il coraggio di un attore popolare napoletano come Lello Arena di mettere in scena testi non facili nella sua città. Ben venga che sia proprio uno come lui a portare a conoscenza di giovani e meno giovani autori come Samuel Beckett. Perché ci ricorda quanto sia importante diversificare la proposta (Arena, che pure ha appena recitato Scarpetta, ne è l'emblema), far capire che c'è anche altro. Magari poi a teatro non si capisce proprio tutto subito ma si abbandona la sala con un'emozione viva ancora addosso. 

Beckett, premio Nobel per la letteratura nel 1969, scrisse "Finale di partita" in lingua francese tra il 1955 e il 1957, riferendosi nel titolo all'ultima parte di un incontro di scacchi. Il protagonista non accetta la fine imminente, proprio come i dilettanti che non si rassegnano ad abbandonare la partita quando ormai la sconfitta è inevitabile. Hamm (Lello Arena) è un anziano cieco costretto su una sedia a rotelle, mentre il suo servo Clov (Stefano Miglio) al contrario non può sedersi. La loro esistenza monotona trascorre in una casetta, che potrebbe tranquillamente essere un basso napoletano, con due finestre che affacciano una sul mare e una sulla terra. Ma per quanto Hamm comandi a Clov di guardare col cannocchiale, fuori sembra non esistere più nulla. Questo ci fa pensare ad una catastrofe postatomica che ha sterminato tutto e tutti. I due litigano, seguiti costantemente dall'occhio di bue, ma non possono fare a meno uno dell'altro; Clov dice continuamente di volersene andare. Con loro vivono, in due bidoni della spazzatura, i due anziani genitori senza gambe di Hamm, Nagg (Gigi De Luca) e Nell (Angela Pagano). Questi ultimi devono elemosinare al proprio figlio quel minimo di cibo per restare in vita.
 
Un atto unico in pieno teatro dell'assurdo, desolante ma con qualche rara spruzzata di ironia, che dipinge una realtà surreale soltanto in apparenza. Perché presto ci accorgiamo, tristemente, di quanto sia vicina a noi. Una vicenda circolare, iterativa, fuori dal tempo, dove gesti e parole si ripetono come un rito, come a voler emulare una vita che in verità non c'è più. Non si può fare a meno di pensare che la scrittura del testo avvenne qualche anno dopo le brutture della Seconda guerra mondiale. Sul finale si apre qualche breccia nella quarta parete e Clov recita un monologo guardando la platea, mentre Hamm rassicura, giunto il momento in cui gli spettatori avvertono forse una qualche stanchezza, che dopo qualche altra "cretinata" chiamerà la chiusura del sipario. L'azione teatrale, insomma, prende in giro sé stessa, come ha scritto tempo fa Enrico Fiore. Il regista spagnolo Lluís Pasqual sceglie quattro attori napoletani che forniscono una grande prova, in primis Lello Arena, avvolto da una vestaglia sgargiante e dipinto sul viso da un rosso non uniforme, che rende con grande maestria vocale la nevrosi e l'assurdo umano. Il suo Hamm è odioso e scorbutico, ma qua e là appare anche umano e compassionevole. Da vedere, anche per la capacità di rileggere in maniera illuminata e donare nuova vita ad un grande maestro del teatro. 

Cristiano Esposito
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