
La potenzialità comica della
trama è forte, e Salemme è bravo a mantenere il suo sviluppo nel limite del
buon gusto (ingresso dalla platea dei due testicoli giganti a parte) e a
limitare le battute facili e scontate sul tema. I giochi di parole elementari ci
sono, ma funzionano grazie alla maestria di intonazioni, ritmo e tempi comici
che Salemme dispiega e tramanda alla sua compagnia. Come da qualche anno a
questa parte la sua narrazione si interrompe affinché lui, autentico beniamino,
interagisca col suo pubblico, per poi terminare con una frettolosa chiosa
poetica, riflessiva, moraleggiante. Dobbiamo essere sempre noi stessi, dice
Salemme, sconfiggendo il senso di responsabilità e tenendo sempre bene a mente
che noi ci siamo per caso. I sogni non devono realizzarsi per forza, altrimenti
si chiamerebbero programmi.
In scena un Andrea Di Maria
notevole, e lo si capisce già dai primi minuti gestiti da solo in scioltezza
con un monologo al telefono egregiamente interpretato, e un Sergio D'Auria
sempre più bravo dopo essersi fatto le ossa nella compagnia di Carlo Buccirosso.
Una garanzia anche Domenico Aria e Nicola Acunzo (in questa occasione il suo
ruolo lascia poco spazio alle sue grandi capacità comiche), Vincenzo Borrino,
Susy Del Giudice e Antonio Guerriero. Ammirevoli le scene girevoli di
Alessandro Chiti. Applausi convinti per una farsa surreale che prova a rompere
gli schemi classici della commedia classica borghese senza troppe pretese.
Cristiano Esposito
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