lunedì 16 aprile 2012

Il toccante racconto di Giuseppe Ayala e dei suoi anni con Falcone e Borsellino al Bellini di Napoli

Sarà stata l'atmosfera della domenica pomeriggio, l'orario della rappresentazione fissato alle 17:30 che sa di famiglia ancora riunita attorno alla tavola del pranzo o assopita sui divani. Fatto sta che questo incontro-spettacolo con Giuseppe Ayala è sembrata una cordiale chiacchierata tra amici che si rituffano in un passato con qualche residuo nodo non ancora venuto al pettine. "Peppino", come lo chiamavano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è lì impettito, orgoglioso e ancora infervorato quando parla del lavoro suo dei suoi colleghi al servizio dello Stato, nella lotta alla mafia. E cerca di spiegarci i motivi per i quali questa guerra non è ancora vinta utilizzando una metafora sportiva: siamo purtroppo di fronte ad una partita truccata fra due squadre i cui giocatori si scambiano le maglie continuamente, pur se la squadra Stato dovrebbe essere nettamente superiore e in grado di vincere il match. Una partita che dura ormai, ingiustificatamente, da 150 anni.
   
Il giudice Ayala ripercorre approfonditamente la storia del suo rapporto con Falcone e Borsellino, di quegli anni di sincera amicizia e lavoro alacre che fruttò tante soddisfazioni ma anche qualche delusione, nel momento in cui lo stato interruppe il suo concreto appoggio e talvolta gli remò addirittura contro. Tra le grandi soddisfazioni c'è naturalmente il racconto del maxi-processo a Palermo, in cui Ayala fu pubblico ministero. Due anni di lavori, un'ora e venti minuti per leggere la sentenza, 2.665 anni di condanne al carcere divisi fra i 360 colpevoli, 19 ergastoli per i boss: sicuramente la pagina più bella e vittoriosa scritta dalla giustizia italiana. Ma questa è una storia che qualcuno ha chiuso troppo presto, liquidandola magari con un semplice "Falcone e Borsellino contrastavano la mafia e per questo sono stati ammazzati". Le indagini sono ancora aperte, certi interrogativi restano ancora irrisolti. E poi c'è da tramandare la grande, straordinaria eredità civile e materiale che i due grandi giudici, ma prima di tutto grandi uomini, ci hanno lasciato. 
 
Una scena essenziale, dominata da una grande magnolia che è simbolo palermitano della lotta alla mafia e che campeggia ancora oggi davanti casa Falcone, adornata dai tanti messaggi che lasciati dai passanti per l'indimenticato e indimenticabile Giovanni.  E poi sedie e sgabelli, a gruppi di tre, messi lì come per far accomodare accanto a Peppino i suoi amici Giovanni e Paolo, che lo accompagnano in questo suggestivo viaggio. Fanno il loro le toccanti musiche originali di Roberto Colavalle e Matteo Cremolini, l'ausilio del racconto in scena di Francesca Ceci e la proiezione di filmati storici che ci conducono ancor più addentro le vicende di quegli anni. Giuseppe Ayala ha un carisma speciale, un modo di raccontare semplice ed efficace, che scava a fondo nelle coscienze. Ciò giustifica pienamente anche la strada politica che ha intrapreso per un certo numero di anni a partire dal 1992. In questo "Chi ha paura muore ogni giorno - I miei anni con Falcone e Borsellino", tratto dal suo libro omonimo, mette un bel pezzo della sua vita e della sua storia su un palco per mantenere vivo il ricordo e dare voce alla verità. Il nostro lavoro non si arrestò per la reazione di Cosa Nostra; noi fummo fermati da pezzi delle istituzioni dello Stato! E’ venuto il momento di chiarirlo”. Chiarire e ricordare, raccontare e tramandare: in questo spesso l'Italia non brilla di certo. La prima statua dedicata a Giovanni Falcone è stata posta in una scuola dell'FBI in America, in un punto davanti al quale gli allievi dovevano passare necessariamente almeno due volte ogni giorno. In America.
 
Cristiano Esposito
 
 
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