sabato 28 dicembre 2013

"Di padre in figlio": risate e malinconia nel ritorno al teatro di Max Giusti

Max Giusti torna in teatro dopo cinque anni con "Di padre in figlio", spettacolo che intreccia comicità e sentimento e che ha debuttato in prima nazionale il 6 dicembre scorso a Civitanova Marche. Dai classici di Garinei e Giovannini ad una nuova sfida in cui è assoluto mattatore. Si è mai pronti ad essere padri? Quando si smette di essere figli e si diventa genitori? Ma si smette davvero mai di essere figli? "Di padre in figlio" racconta la storia di un neo padre, un quarantenne attore la cui carriera non è mai decollata, che parla alla culla del figlio nato una settimana prima. Si trova nel cortile di un ospedale dove nella stanza 540, indicata a caratteri cubitali in alto sul fondale, è ricoverato suo padre, nonno del bambino, inizialmente per semplici accertamenti. L'uomo comincia a raccontare al figlio chi è il nonno che a breve conoscerà. Snocciola aneddoti e riflessioni sul rapporto padre-figlio, sull'educazione, sulle vecchie e nuove generazioni, sui suoi ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza. Poi squilla il telefono, che ha un ruolo primario in questa pièce: una grande occasione, il treno che passa una sola volta nella vita, seguito a ruota da un fulmine a ciel sereno. La vita scorre con una successione quasi continua di svolte e avversità da affrontare e superare. Adesso con la difficoltà ulteriore di essere padre, quando si è ancora almeno un po' figlio.

Per lunghi tratti prevale la malinconia sulla comicità, in questo testo scritto da Max Giusti con Andrea Lolli, Claudio Pallottini e Giuliano Rinaldi. Un quadrato bianco aperto a tenaglia è al centro delle scene ideate da Marco Carniti (che cura anche la regia) e Fabiana Di Marco, e sembra mettere spalle al muro il protagonista davanti alle responsabilità della vita, circondato da questa figura geometrica reale e astratta. Max Giusti è attore esperto e versatile che in questa occasione brilla più per il canto e le imitazioni che per i monologhi comici. Riesce comunque a tenere bene la scena da solo per tutta la durata dello spettacolo e dà prova di essere artista completo. La voce di Dio, prestata da Giobbe Covatta, che confessa di aver cominciato il Creato da Napoli e di aver scelto in origine il napoletano quale lingua universale, strizza l'occhio al divertito pubblico partenopeo. Nella vicenda rappresentata finisce tutto troppo bene per essere vero(simile). Ma le favole, si sa, possono diventare realtà in ogni epoca.

Fanno da valido contorno le musiche di Saverio Grandi e Gaetano Curreri, leader e vocalist degli Stadio al suo primo lavoro teatrale, amico di Max Giusti che ha trovato spunti anche guardando le prove dello spettacolo. In cantiere l'idea di pubblicare la colonna sonora in un disco. Supportano l'azione scenica le coreografie di Kristian Cellini, con sei ballerine che appaiono di volta in volta in vesti diverse ma sempre con il filo conduttore delle carrozzine, per non perdere il centro della messa in scena. I costumi sono di Maia Filippi, le videoproiezioni di Francesco Scandale.

Cristiano Esposito
 
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