sabato 23 marzo 2013

Cosa non si fa per un piatto di “Maccarune”: Saltarelli e Schiano in scena al Piccolo Bellini di Napoli

Il cibo e l’atto del mangiare nella loro accezione più meccanica e simbolica sono al centro di “Maccarune”, testo di Luciano Saltarelli che sceglie di raccontare Napoli attraverso surreali e grotteschi personaggi inseriti in una trama noir. Proprio la cucina, grande tradizione e al tempo stesso stereotipo napoletano, viene dissacrata, ribaltata, svuotata ed è pretesto per parlare di una fame atavica e immotivata, che conduce ad azioni scellerate e disumane. Si arriva a manipolare, capovolgendone il colore, battute celebri da “Miseria e nobiltà”, che pure di fame parlava.

Ferdinaldo e sua moglie Rosanda per risollevare le proprie condizioni economiche decidono di raggirare il sempliciotto Gennargo, che abita sullo stesso pianerottolo. Durante un pranzo, con l'aiuto di Antoniettella, ingenua ragazza presa da poco a servizio, convincono il timido amico a cedere loro un magazzino avuto in eredità dalla madre da poco defunta, con la scusa di volervi aprire in società con lui un ristorante. Dopo aver a fatica convinto Gennargo a firmare la cessione del locale, inscenano una movimentata e pericolosa giornata nel futuro ristorante per dissuadere il pavido amico dallo stare nel locale. Durante la goffa messa in scena Ferdinaldo, fortuitamente, uccide Gennargo. Nascosto il corpo nella cella frigorifera, sopraggiunge inaspettato Cirenzo, fratello gemello di Gennargo e uomo di malavita, che, inseguito da un killer, si rifugia proprio a casa dei due coniugi. Incalzato dal sicario Cirenzo si nasconde nel congelatore e, solo dopo essere sfuggito all'agguato, s'accorge della tragica morte del fratello. Decide quindi di sostituirsi in tutto e per tutto al gemello, costringendo i due coniugi a cibarsi del cadavere, sia per vendetta sia per disfarsi definitivamente del corpo. Dopo qualche tempo gli eventi si capovolgono. Cirenzo e Antoniettella sono diventati amanti e proprietari del ristorante, Rosanda vedova di Ferdinaldo, tragicamente morto per una sincope.

Maccarune gioca con la fantasia e le elaborazioni oniriche, a detta dell’autore per sfuggire da una realtà che è “noiosa successione di eventi prevedibili e tappezzati di mediocrità”. Purtroppo la vicenda appare a tratti molto aderente alla nostra realtà attuale, sempre più anarchica e surreale, a Napoli come altrove. La cattiveria e il cinismo imperanti riempiono i personaggi in scena e i loro pancioni posticci, ma qualcosa sembra di averlo già visto o sentito anche nella vita di tutti i giorni. Saltarelli diffida dal cercare il messaggio e il senso veicolato dall’autore, perché per lui scrivere questa pièce teatrale è stato semplicemente come mettere per iscritto un sogno, dimenticato già pochi minuti dopo il risveglio. Rimane allora solo da evidenziare un grande Giampiero Schiano in un triplice ruolo, gran mattatore con tre caratterizzazioni riuscitissime e prova di grande eclettismo. E la bellezza del linguaggio, mai banale, a tratti in rima grottesca e affascinante. Buona prova anche degli altri interpreti in scena: Antonella Raimondo, Luciano Saltarelli e Manuela Schiano Lomoriello. Uno spettacolo tra pulp, farsa e tragedia, che diverte e sorprende, con tanto di estrazione finale di un pacco di pasta per gli spettatori. Cosa non si fa oggi per un piatto di maccheroni; dopo avercelo mostrato in scena gli attori in scena ne regalano un po’, magari come invito a placare la fame atavica ed immotivata di cui sopra.

Cristiano Esposito
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